Netanyahu parla di antisemitismo e di decisione da processo Dreyfus. Da qualche ora, però, contro di lui e contro l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant c’è un mandato di arresto della Corte penale internazionale (CPI) per crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Entrambi potranno essere arrestati dai Paesi che aderiscono alla CPI, spiega Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Roma Sapienza, anche se, fino a quando non verranno materialmente fermati, non potrà essere celebrato un processo contro di loro. La Corte (che Washington e Tel Aviv non riconoscono) ha atteso a lungo che le pressioni degli USA inducessero Israele a cambiare atteggiamento nei confronti della popolazione palestinese, ma così non è stato. Anzi, gli Stati Uniti, per sostenere gli israeliani, stanno delegittimando le istituzioni internazionali e rischiano così di indebolire tutto l’Occidente.
Professore, cosa significano i mandati di cattura per Netanyahu e Gallant? Quali sono le conseguenze per i loro destinatari?
I mandati di cattura sono provvedimenti che obbligano gli Stati membri della CPI ad arrestare e tradurre davanti alla Corte i destinatari, in questo caso il primo ministro di Israele, Netanyahu, e il suo ex ministro della Difesa, Gallant. La conseguenza pratica e immediata è l’impossibilità dei due ministri di Israele di porre piede in uno degli Stati parte della Convenzione. Netanyahu e Gallant, quindi, sono in una situazione analoga a quella di Putin, contro il quale è stato emesso un mandato di cattura. La CPI non ha, infatti, a disposizione un corpo di polizia che possa entrare nel territorio degli Stati e arrestare direttamente gli imputati. L’esecuzione del mandato di cattura spetta ai corpi di polizia degli Stati parte, nel momento in cui i destinatari si trovano nel loro territorio.
In cosa consistono le accuse?
I mandati di cattura contro i ministri dello Stato di Israele sono stati emessi per crimini particolarmente odiosi. Non abbiamo il provvedimento della Corte, il quale, però, può essere ricostruito almeno in parte dal comunicato stampa emesso dalla Corte stessa. Il primo è un crimine di guerra consistente nell’affamare la popolazione civile. La Corte indica che, secondo gli ordini dei due ministri, l’esercito israeliano ha posto in essere condotte che hanno provocato deliberatamente la mancanza di acqua, cibo, elettricità, carburante e medicamenti, creando condizioni di vita calcolate al fine di procurare la distruzione di parte della popolazione civile di Gaza.
Ma non è l’unica contestazione.
No, infatti. La Corte ha accertato crimini contro l’umanità, e cioè uccisioni su larga scala di civili, persecuzioni e altri crimini inumani. La Corte indica che non ha elementi decisivi per contestare ai due ministri il crimine di sterminio. Ma le condotte contestate sono davvero agghiaccianti. Fra l’altro, i due ministri sono responsabili per aver intenzionalmente limitato o impedito l’accesso a medicinali e dispositivi medici, fra i quali gli anestetici, costringendo i medici a fare operazioni senza anestesia, compresi i bambini, e infliggendo sofferenze atroci.
Nonostante le contestazioni di parte israeliana sulla giurisdizione della CPI, ci sarà un processo contro di loro?
Israele non è parte dello Statuto di Roma, che ha istituito la Corte penale internazionale. Ma la Corte ha vari titoli di giurisdizione, fra i quali la giurisdizione territoriale, che le consente di giudicare crimini commessi sul territorio di uno Stato membro, in questo caso la Palestina, anche se perpetrati da organi di Stati terzi, come Israele. Israele ha chiesto alla Corte, in qualità di Stato interessato al procedimento, di declinare la propria giurisdizione. Ma la Corte ha rigettato la richiesta, anche in quanto un mandato di arresto non può essere contestato prima di essere spiccato. Però, al fine di subire un processo, un individuo deve essere presente: la CPI non può processare in contumacia. E questo è un evidente ostacolo al processo. Ci sono alcuni precedenti, fra i quali Putin. Finché il mandato di arresto non sarà eseguito, né Putin, né Netanyahu e Gallant potranno essere processati.
Il provvedimento potrebbe ostacolare eventuali trattative di pace o avere ripercussioni politiche a livello internazionale per Israele?
L’adozione di un mandato di arresto di un capo di Stato o di governo, o di un ministro, crea sempre delle conseguenze, a seconda delle circostanze politiche. Ma la Corte è stata molto prudente, forse troppo prudente. Il procedimento di indagine è stato formalmente aperto dal Procuratore presso la Corte il 3 marzo; il mandato di arresto è stato chiesto alla Corte il 20 maggio. La Corte ha impiegato sei mesi per decidere. Per fare un confronto, il mandato di arresto nei confronti di Putin è stato spiccato circa un mese dopo la richiesta del Procuratore. Un fugace passaggio del comunicato stampa può essere interpretato nel senso che la lentezza della Corte sarebbe spiegabile con la speranza che le pressioni politiche su Israele, soprattutto da parte degli Stati Uniti, sortissero un effetto. Ma così non è stato. Gli Stati Uniti hanno minacciato più volte di cessare l’invio di armi a Israele, ma non hanno mai portato la minaccia ad esecuzione.
Cambia qualcosa nei rapporti con la nuova amministrazione americana di Trump?
Spero vivamente che il mandato di arresto che colpisce il capo del governo israeliano, il quale, peraltro, ha anche problemi con la giustizia del proprio Paese, faccia riflettere l’opinione pubblica israeliana. Se Israele non muta il proprio atteggiamento, che sembra sfidare l’intera comunità internazionale, corre il rischio di un isolamento irreversibile. Fra poche settimane ci sarà il cambio di amministrazione negli Stati Uniti, ma la politica mediorientale di Trump nel suo primo mandato non promette bene neanche per il suo secondo incarico da presidente.
Dagli Stati Uniti sono arrivati commenti severi sull’operato dei giudici. Nei mesi scorsi la Camera dei rappresentanti aveva paventato l’introduzione di sanzioni contro la Corte qualora i mandati di arresto fossero stati emessi. Che conseguenze può avere questo scontro?
Gli Stati Uniti errano a porsi così frontalmente contro l’opinione pubblica internazionale. Ricordo che la costruzione di un’architettura mondiale poggiata sul multilateralismo è stata in prima persona voluta dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale. Oggi, anche le amministrazioni democratiche degli Stati Uniti stanno delegittimando le istituzioni internazionali e, in primo luogo, le Nazioni Unite e i suoi organi. Due giorni fa gli Stati Uniti hanno opposto il veto a una proposta di risoluzione del Consiglio di sicurezza che chiedeva un immediato cessate il fuoco a Gaza. La proposta è stata votata da tutti i restanti quattordici membri del Consiglio.
Dove può portare questo atteggiamento?
È un brutto segnale. Temo che gli Stati Uniti siano, a propria volta, convinti di poter sostenere Israele contro tutto il mondo. Ma l’assetto geopolitico è in una fase di grandi cambiamenti. Non vorrei che questo sostegno incondizionato a Israele contro tutta l’opinione pubblica internazionale possa indebolire tutte le democrazie dell’Occidente nel confronto, speriamo non militare, che ci aspetta nei prossimi anni con gli Stati autocratici.
Uno dei mandati di arresto riguarda Deif, uno dei capi di Hamas che ha progettato il 7 ottobre. La Corte ha indagato anche su Hamas?
La richiesta di mandato di arresto del Procuratore comprendeva anche il capo di Hamas, il quale è morto, e quindi non può essere imputabile. Il comunicato spiega che Deif è fra i destinatari del mandato di arresto perché la Corte non ha notizia certa della sua morte. Io non so, come anche la Corte, se Deif sia ancora vivo. Ma la circostanza che un capo di Hamas sia fra i destinatari del mandato di arresto è molto opportuna, in quanto evidenzia che non solo la dirigenza israeliana, ma anche quella di Hamas è soggetta alla giurisdizione della Corte.
(Paolo Rossetti)
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