Un nuovo crac finanziario fa tremare il sistema bancario tedesco e non solo. L’ultimo scandalo in ordine di tempo è quello della Greensill, banca australiana con sede a Londra specializzata nel finanziamento delle supply chain, nel cosiddetto “reverse factoring“. Di fatto Greensill è specializzata nel pagare i fornitori al posto delle aziende, garantendo, dettaglio vitale per quelli piccoli, incassi più veloci che se aspettassero i tempi di pagamento usuali, venendo poi rimborsata dalle aziende committenti. Una delle sue attività più redditizie, però, la vede concedere prestiti ad aziende che copre con i loro crediti ad altre imprese, impacchettandoli in complessi strumenti finanziari che immette sul mercato. Qualcosa di molto simile ai processi che hanno innescato la grande crisi del 2007, ma che evidentemente non hanno insegnato nulla ad alcune banche d’affari. Fatto sta che una settimana fa Greensill ha presentato domanda di insolvenza a causa del mancato rinnovo da parte di una società, la Bond and Credit Company (Tokyo Marine), di garanzie assicurative su 4,6 miliardi di dollari di prestiti. La richiesta inoltrata ad un tribunale del Regno Unito è stata quella di ricevere protezione dalle richieste dei creditori, sulla scia di un “grave stress finanziario“, culminato nell’incapacità di rimborsare un prestito del valore di 140 milioni di dollari a Credit Suisse.



CRAC GREENSILL, COS’E’ SUCCESSO

L’effetto domino è stato immediato: l’assenza di garanzie, minacciando la capacità di funding di Greensill, ha portato Credit Suisse a sospendere all’inizio del mese i fondi di investimento dei suoi clienti in supply chain contenenti i propri prestiti. A pesare sulla scelta, adottata subito dopo anche da Gam, è stata l’incertezza sulla loro valutazione. Nel mirino, adesso, è finita anche la Bafin, ente di vigilanza tedesco che ancora una volta è sembrata non annusare il pericolo come nel caso Wirecard. Al momento Greensill è stato bloccata per “eccesso di debito” e denunciata poiché non in grado di “esibire le prove di commesse” che avrebbe acquistato da altri. Ma anche la BCE si è attivata per verificare l’esposizione degli istituti di credito. Adesso il rischio “contagio” è infatti elevato: diversi analisti vedono segnali simili a quelli che portarono allo scoppio della grande crisi con il fallimento di Lehman Brothers.



Come ricorda HuffPost, “Greensill in Germania ha tra i suoi clienti una marea di soggetti istituzionali, Comuni come Monheim, lander come la Turingia, la città di Colonia che lì aveva depositato circa 15 milioni da utilizzare per la ristrutturazione del teatro dell’opera. Sono più di 50 gli attori pubblici che hanno scelto di rivolgersi a Greensill Bank e la ragione è nella caccia spasmodica a tassi di interesse convenienti: Greensill Bank offriva commissioni vantaggiose sui depositi in un periodo storico caratterizzato dai tassi negativi imposti dalla Bce per garantire adeguata liquidità e prestiti a imprese e famiglie. Basti pensare che le casse di risparmio tedesche (Sparkassen) applicano un tasso dello 0.5% sui depositi di investitori istituzionali. Qui nasce il problema: come in altri Paesi anche in Germania i depositi sono garantiti dall’assicurazione dello Stato ma questo non vale, dal 2017, per i soggetti pubblici, esclusi per legge dallo schema di tutela di depositi. Circa l′85% dei 3,5 miliardi di euro depositati fanno capo a investitori retail, e quindi garantiti, ma ci sono circa 500 milioni di euro di clienti istituzionali, principalmente i Comuni che ora hanno un solo timore: dover dire ai cittadini di aver perso i loro soldi“.

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