Nonostante le bugie e la forte omertà sul caso, la morte di Cranio Randagio (vero nome Vittorio Bos Andrei), giovane rapper romano 22enne, avvenuta il 12 novembre 2016 non è stata archiviata. Il ragazzo rimase ucciso da un mix di droghe durante un party in casa di amici, alla Balduina. E adesso tre partecipanti alla festa saranno processati per la morte del rapper. Lo riferisce il quotidiano Il Messaggero che avanza anche i nomi degli indagati e prossimi imputati. Si tratta di Francesco Manente, 26enne accusato di detenzione e spaccio di stupefacenti, e di morte come conseguenza di altro delitto. Sarebbe stato lui il pusher che avrebbe fornito il crack, una delle sostanze che avrebbero causato la morte di Cranio Randagio.



Gli altri due sono rispettivamente Pierfrancesco Bonolis, videomaker nonché il festeggiato durante il party letale e Jaime Garcia De Vincentiis, 25 anni. Entrambi dovranno rispondere dell’accusa di favoreggiamento. Nonostante l’appello della madre della vittima, ci sarebbero ancora altri giovani da identificare.



MORTE CRANIO RANDAGIO: 3 RAGAZZI A PROCESSO

L’autopsia compiuta sul corpo di Cranio Randagio ha accertato che il 22enne sarebbe morto per “intossicazione acuta letale di ossicodone, ecstasy, ketamina, codeina e morfina”. Proprio da questi risultati, insieme all’analisi degli smartphone e di alcuni filmati si sarebbe basata la ricostruzione del pm Maria Rosaria Guglielmi. Ad inchiodare il pusher un messaggio su Facebook in cui annunciava: “Io porto il crack”. Tuttavia, una ulteriore perizia chiesta dal gip ha escluso che l’overdose possa essere stata scatenata da crack o cocaina in quanto le sostanze furono assunte la sera prima della festa. Nella prima timida ammissione era stato detto: “Abbiamo fumato qualche canna e bevuto birra”. Una bugia crollata con le foto in un telefonino. In un video Cranio Randagio informava gli amici del suo stato confusionale, mentre nell’ultimo è in un letto, forse già morto. Dal telefono di Jaime Garcia De Vincentiis sarebbero emersi contatti con altri pusher ma lui si sarebbe giustificato spiegando che era stato Vittorio a farle e di averlo accompagnato a comprare probabilmente droga negando di conoscere il venditore. Dopo la notizia del processo è intervenuta la madre della vittima, come riporta sempre Il Messaggero: “Non ci speravo più. Il processo è un atto di civiltà. Mi batto coi ragazzi nelle scuole. È importante non rimanere vigliacchi o omertosi. Non che Vittorio sia immune nell’ errore, ma i veri amici una telefonata per dirmi che stava male me la dovevano fare”.

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