Un cerchio, cosa potrebbe diventare? Provando a rispondere, la nostra mente inizia a spaziare e nel flusso di coscienza si illuminano, per via analogica, svariate idee: ecco che compaiono tutte le cose rotonde di cui abbiamo immediata esperienza, che si trovano fisicamente a portata di mano – un piatto sul tavolo, l’orologio al polso, la ciambella appena sfornata.



Il pensiero si avventura anche al di là delle pareti che ci circondano e il cerchio come forma astratta piana assume una tridimensionalità e diventa sfera, cambia dimensione, si arricchisce di colori e materiali diversi. Ecco allora che pensiamo al pomodoro, alle palline del gelato, al sole, a un pallone, agli oblò della nave…



Il flusso ideativo innescato procede saltando da una categoria all’altra: dalle cose rotonde appartenenti al mondo vegetale si passa a quelle del mondo animale, poi si pensa a indumenti, cancelleria, arredamento…

Capita poi di attraversare degli attimi di vuoto, specialmente se questo esercizio viene fatto individualmente: alla mente non affiora più alcuna idea, ci sembra di aver già detto tutto il possibile. Se non gettiamo la spugna e ci diamo il permesso di vivere questo spaesamento senza ansia da prestazione o fretta, quando meno ce lo aspettiamo, avviene il salto qualitativo: le idee comuni e stereotipate lasciano posto a intuizioni insolite, non scontate, originali, anche fantastiche.



Per noi di Altisensi è esperienza quotidiana assistere a questo affascinante processo nella mente di bambini e grandi, in un centinaio di classi di Lombardia, Veneto, Friuli e Sardegna e durante workshop per adulti in tutta Italia. Ponendo i bambini davanti a domande così aperte, ci sorprendiamo nel vedere piccole menti accendersi e fornire risposte che spesso noi adulti non riusciremmo neanche a immaginare, tanto che ci domandiamo “come ha fatto ad avere un’intuizione del genere?”.

La mission da cui nasce la nostra impresa è proprio quella di rendere fertile il terreno della mente per far nascere in essa processi ideativi fluidi, flessibili e originali. È arando questa terra che si sviluppa la creatività di pensiero, espressività capace di far emergere il potenziale unico racchiuso in ciascuno.

La competenza creativa che alleniamo, sia a livello cognitivo che visuo-spaziale, non è dunque la prerogativa di futuri artisti e designer, bensì qualcosa di più ampio e alla portata di tutti: un atteggiamento ordinario di pensiero e azione che si rivela nella gestione della quotidianità, dei rapporti interpersonali e dei progetti a medio e lungo termine. Per Winnicott – noto pediatra e psicoanalista inglese – la creatività appartiene alla maniera di incontrarsi con la realtà ed è perciò un’attitudine con cui si può affrontare ogni aspetto della vita. È solo nella manifestazione autenticamente creativa che l’uomo può esprimere appieno il proprio potenziale.

Ogni volta che ci sentiamo realizzati per una ricetta riuscita perfettamente, per una vacanza organizzata impeccabilmente, per aver risolto una situazione conflittuale con un nostro parente, collega o amico, proviamo una sensazione di soddisfazione e piacere. È molto raro che questo accada nello svolgere attività routinarie ed esecutive alle quali non ci dedichiamo con tutti noi stessi, in cui non siamo veramente presenti, che svolgiamo tuttavia desiderando di essere altrove o di occuparci di altro. È l’espressività creativa che, più che altre cose, genera quel senso di pienezza.

Non solo a noi fa bene pensare creativamente, ma anche agli altri e al mondo intero. Il potenziale espressivo che la creatività sprigiona, infatti, è fondamento delle innovazioni, motore di ogni cambiamento. Siano esse idee o prodotti a carattere tecnico-scientifico, artistico-culturale o sociale: pensiamo all’invenzione della luce, del telefono, dell’aeroplano, di internet, della forma di governo democratica, della funzione rieducativa della pena, del welfare state, dell’espressionismo artistico, della fotografia… Potremmo compilare un elenco veramente corposo di innovazioni che nel corso dei secoli hanno cambiato il nostro modo di concepire noi stessi e di rapportarci alla realtà.

Il segreto di ogni innovatore è la capacità di problem posing, prima ancora che di problem solving: la capacità di porsi le giuste domande per districarsi nella complessità. Questa abilità di interrogarsi sul reale con curiosità fa capo a un costrutto mentale che si esprime così: “Che cosa succederebbe se…?”. Si tratta del pensiero ipotetico o controfattuale, la capacità propriamente umana di risalire a cause (“E se questo fatto fosse avvenuto per la ragione x? E se dipendesse dalla ragione y?”) e prevedere conseguenze, ragionando su ipotetici scenari futuri di situazioni o azioni presenti.

C’è qualcosa di cui il mondo di oggi, profondamente ferito e trasformato, ha più bisogno del pensare agli scenari futuri post-pandemici? Ora che il Covid-19 ha scardinato i binari su cui tutti dirigevamo le nostre vite e il nostro lavoro, il pensiero ideativo rappresenta non semplicemente una risorsa, ma una vera e propria esigenza per ripensare e riorganizzare tutto, dall’economia alla scuola, dalla politica alle imprese. Non solo quando la crisi sarà finita, ma già oggi crediamo sia fondamentale riappropriarci della capacità ideativa, così vivida nell’infanzia, per permettere al nostro potenziale creativo interiore di manifestarsi e di illuminare le nostre vite presenti restituendogli il loro senso originario e un nuovo valore proprio a partire dai più semplici atteggiamenti quotidiani.

Prendersi cura del pensiero creativo, per noi adulti, può non essere un diversivo dalla realtà a volte ardua e angosciante in cui siamo immersi in questi tempi, ma uno strumento che ha risvolti pratici nella nostra capacità di immaginare e realizzare un nuovo futuro, magari reinventando prima di tutto noi stessi, e dando il la a nuove spinte innovative.

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