Credit Agricole ieri ha annunciato di aver acquisito, attraverso acquisti sul mercato, il 9,18% di Banco Bpm diventando l’azionista di maggioranza relativa del terzo gruppo bancario italiano. Qualche settimana fa Banco Bpm è stata al centro di rumour e speculazioni, tra smentite e mezze conferme, per un interessamento di Unicredit poi accantonato e forse finito nel nulla nonostante l’interessamento sembrasse più che reale. Attorno a Banco Bpm per mesi si sono anche rincorse ipotesi di una possibile fusione con Banca Montepaschi e a un certo punto si è fatto anche il nome di Unipol. Evidentemente non sono mai mancate possibile fusioni o incorporazioni con gruppi italiani che avrebbero inserito la banca milanese in un progetto di terzo polo italiano.
Credit Agricole ufficialmente e secondo quanto scritto nel comunicato pubblicato ieri ha acquisito la partecipazione per “il forte apprezzamento per le qualità intrinseche di Banco Bpm” con un’operazione che “consolida la relazione strategica e di lungo termine con Banco Bpm”. Credit Agricole è già oggi il settimo gruppo bancario italiano; una fusione con Banco Bpm avrebbe ogni senso industriale e finanziario possibile. Credit Agricole sarebbe sicuramente in grado di mettere a fattor comune la sua realtà italiana con Banco Bpm, estrarre sinergie di costo e di ricavo e “piazzarsi” come terzo gruppo bancario italiano. Il gruppo, oltretutto, sarebbe particolarmente forte nel centro e nord Italia che è l’area del Paese più ricca di risparmi e di imprese. Credit Agricole ha dimostrato di avere molto pazienza nella sua avventura italiana e quindi lo status quo è in divenire.
È inutile rifare l’elenco delle innumerevoli operazioni di consolidamento che si sono viste negli ultimi anni sull’asse Roma-Parigi e ribadire che questo flusso è sostanzialmente a senso unico con episodi, come quello di Fincantieri, veramente imbarazzanti per l’Italia. Nel caso specifico si sarebbero potute immaginare diverse soluzioni “italiane”, in particolare con Unicredit, con la stessa valenza industriale e finanziaria e forse persino maggiori. Per Unicredit un’operazione con Banco Bpm sarebbe stata perfetta e i dubbi su cosa sia davvero successo a fine febbraio rimangono. In ogni caso, ancora una volta, una società francese è riuscita a spuntarla. L’Italia in questo senso è un’anomalia assoluta nel panorama europeo.
La partnership con la Francia ormai è qualcosa di più di un’alleanza; in questo rapporto l’Italia è evidentemente il “junior partner”, il “socio di minoranza”. In questo schema ci è chiaro quali siano gli onori della Francia che ha eliminato il suo concorrente storico nel Mediterraneo dove da sempre, e ancora oggi, i due Paesi più che partner si fanno una sana competizione. Ci è chiaro perché la Francia abbia ogni interesse a fare l’azionista di maggioranza avendo campo libero nel Mediterraneo e comprando con pazienza e costanza il meglio del sistema Paese italiano: energia, industria, banche, assicurazioni, lusso e così via. Ciò che ci è meno chiaro è quale sia l’onere francese o l’interesse italiano a parte, forse, una copertura in sede Bce. È un contraccambio misero soprattutto nello scenario economico, finanziario e geopolitico attuale.
Farebbe molto più comodo, sicuramente al nord Italia presidiato da Banco Bpm, avere le stesse tariffe elettriche francesi. Dato che il sovranismo italiano, evidentemente, non interessa a nessuno e tanto meno alla “politica” italiana e che andiamo in Europa rappresentati da Macron non converrebbe a tutti far cadere la finzione e chiedere alla Francia di farsi carico dei cocci? Facciamo volentieri i junior partner, ancora più junior di quanto lo siamo ora, a patto di poter pagare le bollette e non far fallire le industrie.
L’obiezione a questo ragionamento certamente non può essere un “sovranismo italiano” ormai fuori dal tempo a differenza, per esempio, di quello francese più vivo e vegeto che mai. Le quote sulla sopravvivenza della Francia tra cinquant’anni dovrebbero essere molto più basse di quella sulla sopravvivenza dell’Unione europea che, per dire, ha già perso un pezzo, il Regno Unito, e altri, come l’Ungheria, sono pericolanti.
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