Dopo una lunghissima inchiesta che fu aperta originariamente nel 2021 – e poi interrotta bruscamente poco dopo, ma ci torneremo – alla fine sembra che siano emerse novità in merito ai legami (ovviamente del tutto finanziari ed economici) dell’ex istituto bancario svizzero Credit Suisse e i nazisti: una realtà che era già stata ampiamente approfondita nel corso degli anni ’90 con le due principali banche elvetiche che avevano accettato di pagare un cospicuo risarcimento alle vittime delle famiglie della furia del Terzo Reich; ma che – appunto – nel 2021 era tornata sulla bocca del Senato USA che aveva ipotizzato che la stessa Credit Suisse avesse nascosto un’importante parte della verità con l’obiettivo (va precisato: ipotetico) di pagare una sanzione di entità decisamente minore.
Partendo dal principio, sul finire degli anni ’90 sia Credit Suisse che Ubs (che ora ha acquisito l’altro istituto bancario) dopo una lunghissima indagine indipendente mossa dal World Jewish Congress negli USA accettarono di pagare complessivamente più di 1 miliardo di dollari ai superstiti dei nazisti per aver ospitato a lungo i loro conti correnti rendendo – di fatto – più semplice dar vita alla bruttissima parentesi della Shoah: un caso apparentemente chiuso, ma che nel 2021 finì al centro di una nuova accusa che portò alla nomina dell’ex procuratore USA Neil Barofsky nel ruolo di difensore dell’istituto bancario elvetico ora fallito; salvo poi decidere improvvisamente – per ragioni alle quali arriveremo subito – di sollevarlo dall’incarico.
Cos’ha scoperto la nuova indagine sulla Credit Suisse e i nazisti: i conti (nascosti) bollati come ‘American blacklist‘
Da quel momento sembrava che più nessuno avesse intenzione di indagare sulla connivenza nazista di Credit Suisse, almeno fino al 2023 quando per decisione del Sensato USA – dopo il fallimento e l’acquisizione da parte di Ubs – Barofsky ha ripreso la sua indagine indipendente scoprendo alcune importanti novità che sono state anticipate in questi giorni dal Wall Street Journal americano: il punto di partenza è che il sollevamento del 2021 del procuratore fu legato a delle (presunte) pressione che l’istituto svizzero fece per limitare la portata delle sue indagini, finite al centro di una confessione scritta dallo stesso Barofsky e visionata dal quotidiano finanziario americano.
Dopo essere tornato al suo incarico, Barofsky ha immediatamente ripreso a controllare quell’enorme mole – addirittura più di 3mila scatole – di documentazione interna di Credit Suisse che fu costretto ad abbandonare dopo le presunte pressioni scoprendo “nuove prove sull’esistenza di conti collegati ai nazisti” che sarebbero rimasti fino a questo momento “sconosciuti o solo parzialmente noti“: si tratterebbe – spiega il WSJ – di una quantità non meglio definita di conti riferiti a clienti che portavano il timbro ‘American blacklist’ e che oggi si possono associate a esponenti del Terzo Reich e della famigerata unità Waffen delle SS; lasciando intendere – proprio grazie al timbro – che gli ex banchieri svizzeri fossero al corrente della tipologia di clienti che stavano servendo.