Una montagna pari a 1.200 miliardi di euro, in crescita malgrado le periodiche rottamazioni: questa è la rappresentazione dei crediti che lo Stato vanta nei confronti degli evasori fiscali o presunti tali. È stato confermato ancora una volta che lo Stato potrà ambire a incassare della montagna solo l’8,4% (pari in valore assoluto a 101,7 miliardi). Va osservato che il basso tasso di recupero è influenzato da interventi normativi che limitano l’incasso coattivo essendo stata prevista una soglia minima per l’iscrizione ipotecaria, l’impignorabilità della prima casa, l’apposizione di limiti all’esproprio dei beni strumentali e così via. Ma altrettanto andrebbe indagata la presenza di altre ragioni.



Le rottamazioni, con gli sconti che le hanno accompagnate, hanno avuto un duplice beneficio: hanno favorito l’incasso dei crediti erariali incagliati e aiutato imprese e famiglie consentendo loro, in particolare quelle interessate a essere in bonis, di rimettersi in regola. Su questa linea si muove la proposta dal viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, di agevolare, riaprendo i termini, chi non ha aderito o perfezionato la rottamazione.



Ritornando all’analisi dei dati del magazzino fiscale emerge che sono destinatari di una cartella circa 22,4 milioni di contribuenti: 3,5 milioni sono società o enti, 18,9 milioni sono persone fisiche dei quali almeno 3 milioni artigiani, commercianti o liberi professionisti. La rappresentazione quantitativa dei dati non è accompagnata da una rappresentazione qualitativa. È doveroso osservare che dall’enunciazione dei dati non emergono con chiarezza i motivi che hanno portato i contribuenti a essere destinatari di una cartella. Un aiuto in questo senso viene dall’esperienza professionale. Sono molti i soggetti destinatari di accertamenti talvolta estremamente induttivi, basati su presunzioni che si stanno diffondendo fino a diventare obbligatorie per prassi e/o orientamenti giurisprudenziali spesso non condivisibili (società a ristretta base societaria, fatture soggettivamente e/o oggettivamente inesistenti, interpretazioni fuori termine sui requisiti di accesso ai crediti di imposta e così via). Con ciò non si vuole negare la presenza di comportamenti fraudolenti, ma si vuole porre l’accento sulla necessità di comprendere il fenomeno per poterlo governare.



Un contributo viene dall’analisi fornita dalla Guardia di Finanza che ha posto come centrale l’azione di contrasto alle partite Iva tossiche, cioè tutte quelle che inquinano e danneggiano gli imprenditori onesti tramite: “cartiere” (società che emettono solo fatture false), imprese apri e chiudi, frodi dell’Iva digitale e dell’e-commerce e crediti fiscali inesistenti. Un’analisi qualitativa, dunque, sarebbe opportuna per poter consentire di delineare un quadro normativo innovativo di contrasto all’evasione e di tutti quei fenomeni di frode fiscale da intendersi in tutte le accezioni possibili.

Normativamente la delega fiscale sta provando ad avviare un percorso virtuoso accelerando la cooperative compliance che da aprile vedrà un aggiornamento dei requisiti soggettivi e oggettivi di accesso al regime. Occorre, quindi, migliorare la qualità delle norme e prevedere sanzioni repressive per tutti quei casi ingestibili con il solo sistema delle sanzioni amministrative. L’azione deve agire a livello legislativo e non può essere lasciata all’interpretazione se non si vuole dare un contributo all’incremento dei destinatari di una cartella mettendo a rischio il tessuto economico.

Il concordato preventivo biennale per le partite Iva potrebbe essere un passo in questa direzione innalzando progressivamente l’asticella della proposta che il Fisco farà ai contribuenti. L’idea è quella di accompagnare le partite Iva a dichiarare di più nel tempo, rendendo quindi sostenibile (e accettabile) la proposta dell’imponibile da dichiarare e le tasse da pagare.

In questa direzione procede anche la delega per la riforma delle sanzioni tributarie. L’obiettivo è quello di «migliorare la proporzionalità delle sanzioni tributarie, allineandolo ai livelli esistenti in altri Stati europei». In questi ultimi la misura massima della sanzione – riferita alle ipotesi estreme del dolo e della frode -, pur essendo elevata, risulta essere inferiore a quanto previsto oggi da noi. In Italia le sanzioni minime, per le ipotesi colpose, sono fissate su un minimo pari al 90% (infedele dichiarazione) rispetto alla sanzione minima del 10% (comunque mai superiore al 30%) applicata in media in altri Stati europei. Se poi si considerano le ipotesi dell’inadempimento lieve (rappresentazione puntuale di componenti positive e negative di reddito) e quelle di problemi interpretativi non si può che osservare come la sanzione minima si azzeri in altri Stati.

In questo senso andrebbe valutato poi di puntare a un rafforzamento della responsabilità patrimoniale preventiva. Una soluzione potrebbe essere quella di prevedere di operare una ritenuta in acconto sul fatturato a carico delle neo aziende, l’utilizzo del reverse charge in materia di Iva e ancora il rilascio in favore dell’erario di garanzie finanziarie temporanee.

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