Da Mosca è arrivato ieri pomeriggio un attacco pesantissimo contro il presidente della Repubblica. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha definito “invenzioni blasfeme sulla Russia” alcuni passaggi del discorso che Sergio Mattarella ha pronunciato il 5 febbraio scorso a Marsiglia, una lectio magistralis all’università che gli aveva conferito una laurea honoris causa.
Descrivendo l’ampio contesto che aveva preceduto lo scoppio della Seconda guerra mondiale, il capo dello Stato aveva accostato l’espansionismo nazista all’“aggressione russa in Ucraina”: entrambe guerre di conquista. La portavoce della diplomazia moscovita ha forzato le parole di Mattarella fino ad attribuirgli un accostamento tra il Terzo Reich e la Federazione Russa.
Il discorso di Marsiglia aveva ricevuto immediatamente qualche critica, anche per i toni severi con cui era stato apostrofato Elon Musk. Ma al di là dei contenuti della dissertazione (e della doverosa indignazione della politica italiana contro lo schiaffo di Mosca), la domanda da porsi oggi è come mai il Cremlino abbia impiegato dieci giorni per reagire alle parole di Mattarella, e perché siano stati usati toni così aspri, al limite dell’offesa personale.
La risposta è che in dieci giorni, dal 5 febbraio a oggi, la crisi ucraina è passata dalla quasi immobilità politica al movimento accelerato. E l’origine di tale svolta ha un nome e cognome: Donald Trump. Non appena il nuovo presidente statunitense ha preso in mano il dossier ucraino ha rovesciato lo status quo delle diplomazie e spiazzato l’Unione Europea.
Trump ha imposto la tregua a Israele e avviato il dialogo con Putin sull’Ucraina. Dopo tre anni in cui la Nato e l’Ue si sono limitati ad armare massicciamente l’esercito di Kiev senza compiere un solo passo per favorire un armistizio, ora il tavolo della trattativa sta per partire nel nome della realpolitik. Con pragmatismo si parla di cessate il fuoco, di territori da ridisegnare, di materie prime da tornare a commerciare.
La grande esclusa da questo negoziato è proprio l’Europa. E Mattarella è diventato il simbolo di un’Ue sconfitta. Mosca non ha soltanto messo nel mirino la cultura politica europeista del Colle, ma ha anche colpito le scelte dei governi Draghi e Meloni, che hanno varato dieci decreti per la fornitura di armi all’Ucraina.
Entrambi gli esecutivi hanno deciso una linea iper-atlantista a fianco di Joe Biden. Battuto l’ex presidente Usa, agli occhi di Mosca sono sconfitti anche quanti avevano sposato le sue posizioni, Italia compresa. A poco vale, in questo contesto, vantare un’amicizia con il main sponsor di Trump, il pur importantissimo Elon Musk.
Sarebbe interessante riflettere sul perché Palazzo Chigi abbia rinunciato alla storica attitudine italiana di mediare nei conflitti – pensiamo alle posizioni di Andreotti e Craxi in Medio Oriente, ma anche agli accordi di Pratica di Mare sottoscritti grazie a Berlusconi – per abbracciare un conformismo politico ligio ai voleri di Bruxelles.
Lasciamo la risposta agli storici, a riflessioni più circostanziate. Nel frattempo, forse conviene che il governo si dedichi al più presto a capire come abbassare il prezzo del gas per le imprese. Sarebbe il primo modo per lasciarsi alle spalle la guerra in Ucraina. Perché il “green deal” spinto della von der Leyen le imprese le sta facendo chiudere.
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