Il caso Mattarella-Russia non appare affatto chiuso. È comprensibile – sul piano istituzionale e umano – che il presidente della Repubblica abbia voluto nuovamente intervenire sulla crisi ucraina ieri, durante una visita lampo in Montenegro. “Da tre anni a questa parte – ha detto – la posizione dell’Italia che ho sempre espresso è nitida, limpida, chiarissima: quella del rispetto del diritto internazionale e della sovranità di ogni Stato.
Questa ferma, vigorosa affermazione è stata la base del sostegno che l’Italia ha assicurato all’Ucraina. Posizione sempre accompagnata dall’auspicio che la Russia torni a svolgere il suo ruolo nella comunità internazionale”.
Parole che certamente hanno avuto fra i loro obiettivi quello di stemperare l’escalation russa creata dal parallelo – proposto da Mattarella a Marsiglia una decina di giorni fa – fra l’aggressione russa all’Ucraina e quella della Germania hitleriana all’Urss. La nuova uscita del presidente, in ogni caso, pare rilanciare questioni di merito che di metodo.
La posizione “chiarissima” dell’Italia negli ultimi tre anni è stata di adesione alle decisioni della Nato, all’interno di una fedeltà atlantica agli Usa dal 1945 in poi (l’Italia ha appoggiato la resistenza ucraina così come la riconquista del Kuwait contro l’Iraq o la difesa del Kosovo dalla Serbia; e perfino l’abbattimento del regime di Gheddafi in Libia).
Questa posizione italiana è rimasta immutata anche nei tre anni di crisi russo-ucraina. Quella che sta cambiando ora – e bruscamente – è la postura geopolitica generale degli Usa. Con l’avvento di Donald Trump Washington non considera più la Nato un veicolo strategico e desidera giungere a un rapido cessate il fuoco fra Ucraina e Russia, senza più l’obiettivo di “vittorie definitive”.
Nel frattempo la Ue – in cui l’Italia si è sempre mossa con la lealtà di un Paese fondatore – ha mostrato una posizione talora oscillante su Kiev (soprattutto per le ambigue iniziative singole di Francia e Germania), presentandosi infine platealmente spaccata.
Il discusso vertice di Parigi, l’altra sera, ha comunque certificato che la “chiarissima” posizione corrente dell’Italia in uno scenario turbolento è di attenzione prioritaria alle iniziative della Casa Bianca su Kiev e di contrarietà a mosse non concordate, a cominciare dall’ipotesi di inviare subito forze militari Ue sul fronte ucraino. Questa posizione è stata formulata al tavolo parigino dalla premier Giorgia Meloni, l’unica che la Costituzione parlamentare autorizza oggi a esprimersi in modo esatto “per l’Italia” su ogni dossier di politica estera.
Il summit d’emergenza – sostanzialmente fallito – era stato d’altronde convocato dal presidente francese Emmanuel Macron, che nel sistema semipresidenzialista francese mantiene una delega alla politica estera, resa oggi tuttavia precaria dalla “coabitazione” con un premier non espresso dal partito macroniano e sostenuto da una maggioranza parlamentare composita, dalle posizioni non coincidenti con quelle dell’Eliseo.
Il “caso Mattarella” ha avuto fra i suoi effetti tutt’altro che collaterali una frattura nel centrosinistra, all’eterna ricerca di “campi larghi” o di federatori. La leader del Pd, Elly Schlein, è stata obbligata a scendere in campo a difesa di un presidente appartenente al suo partito. E ha certamente colto al volo l’occasione di uscire allo scoperto contro gli Usa del repubblicano Trump, dipinto come sodale illiberale di Vladimir Putin, anche quando vuole la pace subito fra Russia e Ucraina.
Resta il fatto che in due anni di segreteria Pd, Schlein (che ha passaporto Usa ed è stata “campaigner” di Barack Obama) è sempre rimasta chiusa in un silenzio equivoco su Joe Biden e la sua “guerra Nato in Europa”. Comincia dunque solo ora a diventare “chiaro” un punto di vista dei dem italiani finora ignoto. O meglio: quello che è sempre stato “chiarissimo” è stato il non appoggio alla Nato e al Grande Fratello americano. Un atteggiamento non lontano da quello del padre di Schlein, che negli anni 60 marciava contro l’intervento Usa in Vietnam.
Ma in Italia l’anti-americanismo di fondo della sinistra è stato visibilissimo negli ultimi mesi, nei cortei della sinistra studentesca e antagonista contro contro Israele, sostenuto dagli Usa a Gaza. Nella difesa Pd di Mattarella dagli attacchi del Cremlino non mancano queste significative sfumature politiche.
Chi invece si è pubblicamente dissociato dalle parole di Mattarella a Marsiglia è stato Giuseppe Conte, leader di M5s ma soprattutto due volte premier incaricato da Mattarella. Nell’estate 2019, il Quirinale e Conte sono stati mente e braccio del “ribaltone” che ha riportato il Pd al governo a fianco di M5s. Non senza però un famoso endorsement di Trump 1 a “Giuseppi” Conte.
E non prima di un discusso summit a Roma fra i vertici dell’intelligence italiana e il ministro della Giustizia dell’amministrazione Trump a caccia di informazioni sensibili. Una caccia, si è letto, focalizzata sul cosiddetto “caso Russiagate” e sulle sue possibili ramificazioni a Kiev. Dove il vicepresidente Biden – alla vigilia del voto 2016 – era delegato di Obama, designato dopo la “rivoluzione” del Maidan, la prima guerra russo-ucraina, l’annessione della Crimea e gli accordi di Minsk.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.