A pochi giorni delle discusse intercettazioni tra Filippo Turetta – reo confesso dell’omicidio di Giulia Cecchettin – e suo padre durante il loro primo colloquio in carcere è intervento anche Paolo Crepet sulle pagine del Corriere della Sera, noto psicologo che da sempre si batte per esporre tutti i problemi inascoltati ed ignorati della nostra società; ma il punto di partenza è – sorprendentemente – positivo perché tirando in ballo il concetto di “pietas”, riesce (quasi) a giustificare che “quelle parole del padre al figlio possono [essere] dettate dalla paura del gesto autolesionista“.



Oltre a questo – però – Paolo Crepet non si smentisce e sottolinea anche che sul caso in sé “ci sono dei punti su cui bisogna ragionare”, perché al caso Turetta non si può ignorare che quel tipo di atteggiamento “non [è] isolato. I genitori tendono ad annacquare qualsiasi errore dei loro ragazzi” rendendolo una sorta di “poltiglia digeribile” in un – secondo lo piscologo “diffusissimo fra i genitori di quest’epoca” – atteggiamento “giustificazionista“.



Paolo Crepet: “Il padre di Turetta dovrebbe chiedersi come mai in casa sua è cresciuto un assassino”

Facendo un passo indietro prima di arrivare al citato giustificazionismo, lo psicologo Crepet ci tiene a precisare che dal conto suo il padre di Turetta non doveva certamente dirgli “stai lì, ti meriti questo e tanti saluti”; ma dall’altra parte “nemmeno essere un prete che dà speranza. Lui è un padre e deve innanzitutto domandarsi come sia potuto crescere un assassino nella sua casa“, preferendo una linea di responsabilità condivise.

“Dovrebbe dirgli – continua lo psicologo – ‘se tu sei qui è anche colpa mia‘” in un atto di “enorme dignità e civiltà”, perché di fatto la tesi del “momento di debolezza” secondo Paolo Crepet non regge a fronte di “due anni di martellanti messaggini” e soprattutto del “martirio della povera Giulia”. Proprio questo è il succo dell’atteggiamento “giustificazionista” il cui esito non è certo quello di “aiutare il figlio” perché rischia di ignorare che “70 coltellate” non sono “un momento di follia” ma un piano “pensato, ragionato [che] nessuno ha visto”. Insomma, secondo Paolo Crepet nel caso di Turetta e Cecchettin “è mancata l’empatia” non solo da parte di padre e madre, ma anche – se non soprattutto – dell’intera “comunità”.



L’ultima parte della sua intervista Crepet la dedica all’intercettazione ambientale pubblicata – tra le critiche, tardive, del segretario delle Camere penali – partendo proprio dal concetto di “voyeurismo” che dal conto suo non è certo una novità: “Questi elementi – spiega – fanno parte dell’analisi familiare, emotiva e relazionale da cui nasce il delitto” e servono – almeno a noi ‘esterni’ – a “capire [e] contestualizzare”.