Sono dati preoccupanti quelli che arrivano dalla Spagna, che ha toccato il massimo dei contagi dalla fine del lockdown, cioè dal 2 maggio scorso. Ieri il numero dei contagiati nelle ultime 24 ore era di 1.546. A Madrid come anche in altre città è tornato l’obbligo della mascherina anche all’aperto, il divieto degli assembramenti con più di dieci persone e l’obbligo di chiusura di ristoranti e locali all’una e trenta di notte. Solo a Madrid i contagi sono quintuplicati in poco più di una settimana. In realtà, come ci ha spiegato Dario Menor Torres, ex corrispondente dall’Italia del quotidiano spagnolo La Razón, attualmente a El Correo, i dati vanno interpretati: “Questa crescita non significa che ci sia anche una crescita dei ricoveri in ospedale in terapia intensiva, ma che le persone sintomatiche vengono rintracciate più facilmente dove ci sono nuovi focolai grazie ai tamponi”. Nonostante questo gli Stati i cui cittadini scelgono la Spagna come luogo preferito per le vacanze hanno sconsigliato di recarvisi. “È un gravissimo danno per la nostra economia, il turismo rappresenta il 15% del nostro Pil”.
Come si giustifica questa crescita improvvisa dei casi di contagio dopo due mesi dalla fine del lockdown?
Questa crescita non sta provocando un aumento dei pazienti in terapia intensiva negli ospedali, non siamo tornando ai livelli di marzo e aprile dove il sistema sanitario era sotto pressione e rischiava di saltare per il numero altissimo dei ricoveri. Sembra che parte della crescita sia dovuta al fatto che si riesce a identificare maggiormente dove ci sono i nuovi focolai, grazie all’uso dei tamponi.
C’è maggior controllo sanitario, intende?
Sì, esattamente. La Spagna non è il paese messo peggio dell’Europa come dice qualcuno. Pensiamo al Regno Unito, dove è stato di nuovo dichiarato il lockdown per 4 milioni di persone (nella Greater Manchester, in parti del Lancashire orientale e del West Yorkshire, ndr) uccidendo così la stagione turistica per gli inglesi, che da sempre scelgono proprio la Spagna come meta preferita.
A proposito di questo, proprio il Regno Unito, ma anche Francia e Germania hanno sconsigliato ai loro cittadini di andare in vacanza in Spagna.
Il turismo è il primo settore dell’economia spagnola e vale all’incirca il 15% del Pil, più dell’Italia dove pesa per il 13%. Perdere la stagione estiva è un dramma economico solo in parte coperto, dal punto di vista psicologico, dagli aiuti europei. Il crollo del nostro Pil nel primo semestre è il peggiore dai tempi della guerra civile. Siamo a livello italiano. Speravamo che l’arrivo dei turisti potesse risollevare un po’ la situazione. In realtà il Regno Unito e gli altri paesi non hanno vietato tutta la Spagna, ma solo alcune zone. Comunque non sappiamo dopo l’estate quanto ci costerà tutto questo.
Siete anche colpiti dalla disoccupazione a causa del virus, come molti altri paesi.
La disoccupazione è sempre stato un problema per la Spagna, anche nei momenti di crescita economica. Il Covid ha dato un colpo molto forte nei settori del turismo, dei servizi e anche dell’industria. Reggono settori che in Spagna sono molto forti come l’agroalimentare e il sistema sanitario, ma c’è grossa preoccupazione per come andrà il secondo semestre di quest’anno.
Ritiene che il vostro governo si stia comportando in modo adeguato? Ci sono critiche alla sua attività?
Proprio ieri c’è stato un incontro tra il presidente Sánchez e i presidenti di tutte le regioni per parlare di come distribuire i soldi dell’Unione Europea. Mancava solo un presidente, quello della Catalogna, e questo è un altro problema che rimane sempre aperto. Sembra che ci sarà una cogestione Stato-regioni. Sicuramente si sono fatti sbagli agli inizi, ma la Spagna ha sempre messo il salvataggio delle persone davanti a quello dell’economia, come è avvenuto in Italia. Ci sono stati errori, ma non si è agito come negli Stati Uniti o in Brasile dove la priorità non è stata salvare le vite umane ma qualcos’altro.
(Paolo Vites)