Se ci si prende il disturbo di ricercare la parola meritocrazia sui più comuni motori di ricerca si trovano molti più articoli di critiche al concetto che non di sostegno. In parte questo succede per alcune ragioni dirette a un’idea di merito troppo elitaria, in parte perché forse non si conosce troppo bene l’argomento.



Sgombriamo, quindi, il campo da equivoci: oggi di meritocrazia ce n’è poca, non solo in Italia, forse in tutto il mondo. In più le complessità e novità del mondo digitale e globale non sempre aiutano a fare in modo che ce ne sia di più. Anche il 2019 per l’Italia si annuncia un anno in cui il deficit di meritocrazia del nostro Paese rispetto agli altri Paesi europei non pare possa ridursi significativamente, come mostrano i dati del “Meritometro 2018”.



Alcune politiche che possono dare un contributo nel medio/lungo periodo alla crescita del Paese stentano a decollare. Penso alle politiche in favore della natalità e dell’istruzione.

Allo stesso modo le politiche volte alla redistribuzione possono in qualche modo diminuire la disuguaglianza dei punti di arrivo, ma difficilmente dei punti di partenza.

Il Paese resta in attesa di uno “shock meritocratico” che ci permetta di aumentare la produttività sempre anemica, di migliorare l’efficienza della spesa pubblica e di attrarre investimenti in modo da favorire la crescita e ridurre il nostro debito, innescando un circolo virtuoso che porti a maggiori investimenti.



Che cosa può innescare un cambiamento pronunciato? Partirei da tre punti “critici”:

1) favorire delle misure fiscali che spostino risorse da chi negli anni 80, 90 e 2000 le ha accumulate in una situazione favorevole a chi si trova ora a intraprendere, lavorare, fare famiglia;

2) innescare un maggior dinamismo e una maggiore contendibilità nei ruoli manageriali e imprenditoriali all’interno del settore produttivo;

3) lavorare a una migliore selezione delle persone che occupano ruoli politico-istituzionali.

Sono tre ambiti complessi, in cui misure ben congegnate devono superare blocchi corporativi e una certa resistenza “elettorale”. Queste misure dovrebbero, quindi, collegarsi tra loro e promuovere un’idea di futuro concreta e innovativa.

Fare meritocrazia in Italia significa sia favorire misure di ampio respiro che abbraccino l’elemento “macro”, così come percorrere un sentiero di esempi e di dibattito che affronti il tema culturale più “micro”.

In questo secondo ambito la nuova classe dirigente “incumbent” deve dimostrare di non replicare i vizi della precedente, evitando comportamenti formali/velleitari e un modo settario e identitario di affrontare i problemi. Questa nuova classe dirigente deve rifuggire la tentazione di rinchiudersi in mondi dorati (multinazionali, alta dirigenza, Cda, élite), ma deve andare a “sporcarsi le mani” nei posti più complicati (giustizia, Pmi, Mezzogiorno).

Fantasia, coraggio e idealismo sono oggi necessari quanto concretezza, buone maniere e piedi per terra. Se prevalgono solo i secondi, continueremo a non scrollarci dalle nostre non buone posizioni.