Alla fine del 2020 si traccia un bilancio pesante degli effetti della pandemia scoppiata a marzo. Sulla base degli ultimi dati demografici resi disponibili dall’Istat, nei primi undici mesi del 2020 i decessi sono saliti del 13,1% rispetto alla media del periodo tra il 2015 e il 2019. Gli effetti sull’economia sono senza precedenti in periodi di pace: secondo le ultime previsioni della Banca d’Italia pubblicate lo scorso 11 dicembre, il Pil dopo un calo del 9% nel 2020 farà registrare una risalita del 3,5% nel 2021. Il prolungamento della pandemia fino alla prossima primavera dimezzerebbe la crescita del 2021. Tra la violenta caduta del 2020 e la più lenta ripresa del 2021, in due anni l’economia italiana cumulerà una perdita di Pil di 65 miliardi di euro.
L’intensità della ricaduta della recessione sui bilanci delle imprese è a doppia cifra: si stima che nei primi dieci mesi del 2020 il valore della produzione delle imprese della manifattura, delle costruzioni e dei servizi privati a imprese e persone – esclusi il commercio e la finanza – sia diminuito di 224,7 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, pari a un calo del 14,4%. Nello stesso arco di tempo le vendite del made in Italy nel mondo si sono ridotte di 48,5 miliardi di euro (-12%). La crisi ha destabilizzato un’ampia quota di imprese: elaborando i dati dell’indagine dell’Istat pubblicati a metà dicembre, il 32,4% delle micro e piccole imprese (MPI) dovrà far fronte a seri rischi operativi e di sostenibilità dell’attività. Per due terzi (64,8%) delle imprese il recupero di livelli accettabili dell’attività aziendale si registrerà nel secondo semestre del 2021. Si accentua la quota che indica tempi di recupero più veloci nelle costruzioni, mentre si riduce nei servizi, in particolare per alloggio, ristorazione e servizi alle persone.
La moda, punta di diamante del made in Italy nel mondo, è uno dei settori manifatturieri che maggiormente sta soffrendo la crisi Covid-19, registrando nei primi dieci mesi del 2020 una perdita di fatturato del 21,8%, pari a 15,5 miliardi di euro in meno, di cui 10,0 miliardi di minori esportazioni.
Sempre tra gennaio e ottobre 2020, le vendite al dettaglio di alimentari sono salite del 3,4%, con una tenuta anche dei piccoli negozi di prossimità (+3,8%). All’opposto, cedono del 12,1% le vendite di prodotti non alimentari, mentre, in controtendenza, il commercio elettronico registra un boom del 32,2%. L’escalation dell’e-commerce coinvolge anche la micro e piccole imprese che, prima della crisi, vendevano beni o servizi attraverso il web nell’8,8% dei casi, mentre attualmente la quota è quasi raddoppiata, salendo al 16,9% delle MPI.
A novembre 2020, sul fronte dei prezzi si addensano segnali di deflazione: i prezzi alla produzione manifatturiera segnano “crescita zero”, mentre frenano quelli delle abitazioni, registrando nel terzo trimestre del 2020 un aumento dell’1,0% a fronte del +3,3% del secondo trimestre 2020.
Il crollo dei ricavi ha generato una diffusa mancanza di liquidità che, segnalata in primavera come una criticità rilevante dalla metà delle imprese, in autunno coinvolge ancora un terzo (33,9%) delle MPI. L’intervento statale è stato essenziale per attenuare la crisi della finanza d’impresa: all’11 dicembre 2020 si registrano richieste di moratoria da parte delle imprese su 194 miliardi di euro di prestiti mentre al 22 dicembre sono salite a 124,1 miliardi di euro le richieste di garanzie sui prestiti delle imprese pervenute al Fondo di Garanzia.
Nonostante l’esteso utilizzo degli ammortizzatori sociali e il prolungamento del divieto di licenziamento, si registrano già i primi effetti della crisi sul mercato del lavoro: al terzo trimestre 2020 si contano 622 mila occupati in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, pari a un calo del 2,6%. I segmenti più colpiti sono quelli del lavoro a termine (449 mila unità in meno pari al -14,1%), dei giovani (314 mila occupati in meno, pari al -6,0%) e del lavoro indipendente (218 mila unità in meno, pari al -4,1%). Maggiore fragilità per l’occupazione femminile, che scende del 3,5% (-344 mila occupate) a fronte del calo del 2% di quella maschile (-278 mila occupati).
Sulla base dei dati di Unioncamere-Anpal, le assunzioni previste dalle imprese nel trimestre dicembre 2020-febbraio 2021 si ridurranno di 364 mila unità rispetto un anno prima, il 33,3% in meno. La reattività delle imprese all’emergenza sanitaria sta modificando la qualità della domanda di lavoro, delineando il paradosso di un calo di assunzioni associato a un aumento della difficoltà di reperimento, che passa dal 30,7% di fine 2019 al 32,8% di fine 2020, un fenomeno che non era presente nelle precedenti recessioni.
La caduta della domanda e del clima di fiducia determina una minore propensione all’investimento, a cui si associa una crisi demografica delle imprese. Le minori start-up di imprese – già nel 2020 potrebbero scendere di oltre 65 mila unità – e l’impennata delle chiusure al termine degli interventi di ristoro e dell’erogazione di indennità, determineranno una forte selezione della struttura imprenditoriale.
Il ritmo di crescita dell’economia dovrà essere sostenuto dagli interventi finanziati da Next Generation Eu. Secondo le bozze del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), gli interventi additivi sono stimati in 120,8 miliardi di euro e per il 60% dovrebbero essere rappresentati da investimenti pubblici. Sulla base di questo impulso, si avrebbe un maggiore crescita che nel 2026 arriverebbe al 2,3%.
Un’accelerazione della crescita è una condizione essenziale per evitare una disastrosa crisi del debito sovrano, al termine del programma di acquisti della Bce e con la disattivazione della clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita. Gli otto decreti anticrisi hanno generato nel 2020 oltre 113,6 miliardi di maggiore deficit e, secondo le stime dello scorso novembre della Commissione europea, nello stesso anno il debito pubblico italiano sale di 196,9 miliardi di euro, alla velocità impressionante di 538 milioni di euro in più al giorno.
La governance dell’Eurozona dovrà trovare strade innovative per la gestione delle finanze pubbliche, a cominciare dal maggiore debito di 1.552 miliardi di euro previsto nel 2021 nei Paesi dell’area dell’euro a seguito della crisi Covid-19.
Per massimizzare la crescita, gli interventi finanziati da Next Generation Eu – in Italia il 38% delle risorse per il contrasto del cambiamento climatico e il 23% per la transizione digitale – dovranno accompagnare le imprese che manifestano segnali di resilienza e che comporranno la locomotiva della ripresa: tra le imprese che hanno pianificato una specifica attività di reazione alla crisi (il 57,0% del totale, rappresentative del 70,2% dell’occupazione), la maggioranza ha scelto strategie riconducibili all’espansione dell’attività produttiva (il 25,8% delle imprese con il 36,1% degli addetti), con una maggiore accentuazione proprio tra le imprese di minore dimensione, micro e piccole.
Infatti, sarà solo grazie alla fiducia e al dinamismo delle imprese, alla loro domanda di lavoro e di investimenti, che si potrà cogliere l’ambizioso obiettivo, indicato nel Piano di ripresa e resilienza, di portare il tasso di occupazione italiano in linea con la media dell’Ue entro la fine del decennio e per raggiungere il quale è necessario aumentare l’occupazione del 10,9%, pari a due milioni e mezzo di occupati in più.