Sondaggi. La tattica è quella del catenaccio all’italiana. Quanto alla strategia, è difficile averne una, perché il 2023, tra inflazione, guerra e Covid è  un’incognita vera. E così gli italiani “si sono predisposti in difesa, ma non rinunciano a qualche scatto in avanti per vivere e sentirsi come prima” ci spiega Enzo Rissodocente di teoria e analisi delle audience nell’Università La Sapienza di Roma e direttore scientifico di Ipsos. La gelata arriverà con le bollette di marzo. Continua la luna di miele della Meloni, “premier non di tutti ma di una parte”, che deve guardarsi dall’effetto-Renzi.



In un suo recente articolo lei ha parlato di “fardello di sfiducia” diffuso. Come si spiega?

Da anni la maggioranza degli italiani non si fida delle banche e degli imprenditori. Oggi questa percentuale è pari al 69%, ed è cresciuta di quattro punti negli ultimi due anni.

Vuol dire che i due terzi degli italiani non si fidano di chi detiene i loro risparmi.



Domina la convinzione che chi fa impresa – banche comprese – fa profitti solo per se stesso. Il dato è più o meno omogeneo a livello nazionale, ma più alto al Sud: 70%. Ma più in generale non si fidano della classe dirigente italiana. Per il 75% è fatta di persone lontane dai problemi della gente. Un’opinione che sale all’82% nei ceti popolari.

C’è voglia di consumi, basti pensare alle prenotazioni turistiche, ma secondo un recente rapporto di Unimpresa gli italiani hanno intaccato i risparmi per complessivi 50 mld negli ultimi tre mesi (-2,4%). Ci aiuti a capire.

È un catenaccio all’italiana. Persone e famiglie sono più attente alla spesa, riducono gli sprechi alimentari, economizzano nel vestiario, puntano a far quadrare i conti di casa, tra bollette, benzina e gasolio, però durante il Covid si sono mossi di meno. Hanno risparmiato.



Quindi?

Sentono voglia di leggerezza. Qualcosa dobbiamo concederci, pensano. Non intendono rinunciare a tutto per non sentirsi ai margini. Si sono predisposti in difesa, ma fanno qualche scatto in avanti per vivere e sentirsi come prima.

In numeri?

Il 30-35% può permettersi di spendere. Sono coloro che in questo momento stanno alimentando di più l’economia. Poi viene un altro 30% di persone che non sono in una condizione di povertà, ma devono centellinare le spese. Hanno spese crescenti, ma anche un lavoro e un reddito e non rinunciano a una vacanza o al ristorante.

Ha parlato di “voglia di leggerezza”. Quanti italiani riguarda questo sentimento?

Il 25%. Parliamo di un quarto del Paese. Per capirci: l’altro giorno sentivo di 4 milioni di persone che hanno prenotato al ristorante la cena di capodanno. Sono pochissimi!

Un problema diverso riguarda le cause di questa situazione. Cosa dicono i rispondenti?

Sanno che abbiamo rallentato, ma ritengono che non stiamo camminando all’indietro. La causa prima della crisi è il divario tra l’aumento dei prezzi e i salari fermi. È un tema continentale: ne è convinto l’80% degli inglesi, l’85% di spagnoli e francesi, l’83% dei tedeschi e l’82% degli italiani. D’altra parte è un tema che da noi ha una lunga storia, perché l’Italia è il Paese in cui i salari sono aumentati di meno in tutta Europa.

La guerra in Ucraina rientra nelle cause di questa situazione?

Gli italiani hanno visto che la guerra ha portato un aumento dei prezzi dei beni di consumo e dell’energia. Ma sanno anche che la stagnazione dei salari viene da prima.

I conti dell’aumento dei prezzi dell’energia le famiglie dovranno farlo a gennaio e a marzo. Lo sanno?

Sì, per questo hanno cominciato a giocare in difesa sapendo che arriverà la botta. Ma la dimensione del colpo è un’incognita. Nel frattempo, chi può non rinuncia a vivere.

Quanti sono preoccupati per le sorti della guerra in Ucraina?

Il 75%. Un dato aumentato nel corso degli ultimi mesi.

Preoccupa di più la guerra o il clima?

Sono entrambi elementi in cima all’agenda dell’opinione pubblica. La preoccupazione principale è per il lavoro: la paura di perderlo si mantiene tra il 42 e il 45%. Poi viene il cambiamento climatico, 40%, e l’aumento delle diseguaglianze sociali, 39%.

I suoi recenti numeri sulla sfiducia, come quelli che abbiamo citato all’inizio, quale immagine complessiva del Paese ci restituiscono?

Quella di un’Italia in cui aumentano le diseguaglianze sociali, e con esse la sensazione che ci siano quote di persone che si arricchiscono sempre di più e altre che devono fare i conti con difficoltà crescenti. Aumenta il tasso di scontro tra popolo ed élite.

Ma chi sono le élite?

Tutti quelli che vengono percepiti come classe dirigente: politica, imprese, banche, il mondo di quelli che o per capacità economiche o intellettuali sono la parte alta della società.

Questo aumento di conflittualità ha delle ricadute sull’attuale Governo? 

Per il momento il governo Meloni è in luna di miele. Diciamo che è sotto esame. La sua popolarità oscilla intorno al 48%, quella del governo intorno al 46-47%.

È relativamente bassa rispetto a chi l’ha preceduta: non solo Draghi ma anche Conte.

La Meloni al momento resta un premier divisivo, non in grado di parlare alla complessità del Paese. È perfettamente naturale: questo Governo ha la maggioranza in Parlamento, ma non nel Paese. Lo dicono i numeri del 25 settembre. Dunque la Meloni non riscontra una popolarità che va oltre i confini della propria coalizione.

Dipende anche dal caos che c’è nell’opposizione?

Certo. Ma è evidente che in un assetto tripolare vincerà sempre la coalizione più compatta. Nell’opposizione si sta giocando una partita prettamente politica, in cui vigono altre regole. Vince chi gioca secondo le regole del campo, che sono quelle delle maggioranze elettorali.

Quanto dura la luna di miele?

La luna di miele è legata a una serie di dinamiche complesse. Oggi siamo in una fase molto convulsa, dove l’incedere dell’incertezza alimenta nelle persone il bisogno di stabilità e la stabilità è rappresentata da chi è al potere. Al momento non si intravede un’alternativa e tale mancanza è ampliata dalle divisioni nell’opposizione. Di conseguenza la durata della luna di miele, in assenza di scossoni o di errori particolari, può prolungarsi.

Allora non c’entrano i famosi cento giorni.

Assolutamente no. Dipende dalle cose che si fanno e da quanto si alimenta – o si delude – il proprio blocco sociale. Alcuni, come Renzi, lo hanno deluso molto velocemente nonostante i tempi fossero molto meno incerti. In tempi incerti il consenso si perde molto rapidamente.

Cosa è valutato positivamente e cosa no nell’azione di governo?

Su immigrazione, sicurezza, Europa, energia, pensioni e infrastrutture i voti positivi prevalgono su quelli negativi. I temi che riscuotono più voti negativi sono lavoro, inflazione, ambiente, welfare e Pnrr, sul quale c’è la sensazione che siamo fermi.

(Federico Ferraù)

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