Dopo più di una settimana dal salvataggio di Credit Suisse è tempo per qualche riflessione più approfondita. Lo chiamano salvataggio, ma in realtà si è trattato di un fallimento. Il fatto che sia stata salvata grazie all’intervento dell’altra grande banca svizzera, UBS, non cambia la sostanza della situazione. Anzitutto perché UBS non voleva, ma è stata costretta a intervenire dalle enormi pressioni sia politiche che della Banca nazionale svizzera.
Hanno salvato i correntisti, ma ad andare ko è il sistema bancario e la sua idea di banca come entità commerciale che deve essere capace di stare in piedi garantendo la propria solidità e la protezione dei capitali depositati e/o investiti.
UBS è intervenuta, ma ha posto vincoli e paletti che segnano la fine di una certa idea di sistema bancario: ha preteso la cancellazione degli obblighi derivanti dalle obbligazioni di Credit Suisse, le famigerate AT1, i cui possessori si sono ritrovati con un valore annullato da un tratto di penna. Il “piccolo” problema è che quel tipo di obbligazioni sono piuttosto diffuse in Europa e quindi mettono in crisi un intero sistema, utilizzato ampiamente dalle banche per finanziarsi.
Questa crisi è anche figlia della folle scelta politica di abbandonare la neutralità e di schierare la sempre neutralissima Svizzera dalla parte della Nato e quindi contro i denari provenienti dagli oligarchi russi o da affari a essi legati. Così gli ingenti capitali russi sono volati via. Allora sono arrivati i capitali sauditi, che pensavano di aver fatto un ottimo affare a entrare con una quota del 10% nel dorato mondo bancario svizzero; però nel giro di pochi mesi si sono ritrovati con enormi perdite, accentuate ancor di più dall’acquisizione di UBS.
Il fatto grave è che tutto ciò è accaduto senza il voto degli azionisti, senza che questi fossero interpellati, con un’azione che è stata di fatto una clamorosa violazione delle regole. Il rispetto delle regole è ciò che ha sempre contraddistinto la società occidentale, ma se queste non vengono più rispettate, cosa ci distingue dagli abusi e dagli arbitri di una qualsiasi repubblica delle banane? I russi sono già scappati. Gli arabi faranno più investimenti in un mondo privo di certezze, dove le regole possono essere violate e addirittura capovolte da autorità che alla fine fanno quello che vogliono?
Ho davvero l’impressione di rivivere quella crisi che nel 2007/2008 ha devastato prima i mercati finanziari e poi tutta l’economia. Sono impressionato nel vedere che oggi, come allora, tutti i principali attori delle istituzioni finanziarie e monetarie si affannano a dire che “il sistema bancario è solido, non vi saranno conseguenze”. Eppure i dati stanno dicendo il contrario; e non solo i dati, ma anche la storia recente e meno recente. Dicevano la stessa cosa nel 2007, quando i titoli bancari iniziarono a calare bruscamente perché iniziavano a emergere i gravi problemi prodotti dai mutui subprime. “Non ci sono problemi per il sistema finanziario” dicevano, ma intanto si creava una crisi di liquidità senza precedenti generata dal crollo dei prestiti interbancari, poiché le banche non si fidavano più l’una dell’altra e non si prestavano più denaro.
La Fed non interveniva perché vigeva (e vige ancora) il dogma del libero mercato, secondo il quale un’azienda (anche le banche sono aziende) deve essere in grado di stare sul mercato oppure, se non è all’altezza della situazione, è bene che fallisca. Quando, però, si sono accorti che vi sono banche troppo grosse, il cui fallimento avrebbe innescato una catena di fallimenti e il disastro sociale (oltre che finanziario), allora la Fed è intervenuta: dopo il fallimento della Lehmann nell’ottobre 2008 generò una montagna di liquidità per sostenere le banche in difficoltà. Questo portò a un’espansione del bilancio della banca centrale, che testimonia quanta liquidità abbia generato. Ecco il grafico del “total asset” della Fed nel 2008.
Nel giro di pochi mesi, il bilancio è passato da 900 miliardi di dollari a 2.200 miliardi di dollari. Una manovra di proporzioni eccezionali per fronteggiare una crisi eccezionale.
Poi nel 2020 arriva la pandemia e l’economia si blocca e le banche soffrono. Vediamo il grafico del 2020.
Il bilancio della Fed, che a forza di Qe era cresciuto fino a 3.900 miliardi a fine 2019, arriva di colpo a toccare i 7.200 miliardi nel luglio 2020.
Infine, arriviamo ai giorni nostri. Cosa sta accadendo?
Nel 2020 la Fed, causa l’alta inflazione, ha aumentato i tassi e ha iniziato a togliere liquidità, fatto ben testimoniato dalla discesa del suo bilancio, da quota 9.000 miliardi fino a 8.300 circa ai primi di marzo 2023.
Ma ora esplode il problema dei fallimenti delle banche, causato proprio dalla politica di rialzo dei tassi e dalla diminuzione di liquidità. E cosa fa la Fed? Reimmette liquidità! In altre parole, da un lato alza i tassi per togliere liquidità all’economia reale e tenere bassa l’inflazione, dall’altro immette liquidità per sostenere le banche. Ma le banche, cosa ci faranno con questa liquidità? Preso questo denaro (a prestito), hanno bisogno di reinvestirlo per poter ripagare gli interessi del prestito. E dove investirlo? I mercati finanziari sono troppo traballanti; ma se lo investono nell’economia reale, allora risale l’inflazione.
Di fatto la Fed, nella sua schizofrenia, con una mano fa una cosa e con l’altra fa la cosa opposta: con due rematori remano in direzione opposta, la barca girerà su se stessa senza andare da nessuna parte. Capite perché sostengo che l’azione della Fed è destinata a fallire miseramente?
Intanto la Bce, avendo imboccato la stessa strada, si trova in ancora maggiori difficoltà, per tre grosse ragioni: la prima è che da noi l’inflazione è più alta; la seconda è che la Svizzera è un nostro vicino di casa e i loro guai si riflettono più pesantemente da noi; la terza dipende dall’ottusità di queste sanzioni che stanno soffocando l’economia e questo si sta già riflettendo in disordini sociali.
Le vibranti proteste di piazza in Francia, Belgio e pure in Germania non fanno presagire nulla di buono. Staremo a vedere.
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