Da anni ormai il dibattito sulla crisi climatica sembra essersi focalizzato su due posizioni distinte ed assolutamente incompatibili tra loro, al punto da non riuscire neppure a dialogare: da un lato chi sostiene un ecologismo sfrenato all’insegna del salvataggio di questo (forse eccessivamente) civilizzato pianeta; dall’altro chi crede che qualsiasi grido d’allarme altro non sia che una ‘eco-balla‘ studiata a tavolino per impoverire e affamare – anche se non è chiaro a benefici di chi – la popolazione.



Eppure – come per ogni cosa attorno a cui si crea un dibattito di questo genere -, la verità sulla crisi climatica sta nel mezzo e seppur sia evidente a tutti che il mondo sta cambiando rispetto anche solo ad un manciata di anni fa, spesso gli allarmi degli ecologisti sfrenati finiscono per inquinare ulteriormente il dibattito non permettendo (innanzitutto a chi non ha le loro conoscenze biologiche) di comprendere la realtà delle cose che ci circondano.



Proprio partendo da questo inquinato e ormai troppo frammentato dibattito, il quotidiano Il Foglio ha cercato di mettere in fila tutte quelle che definisce “bugie che l’ecologia bio-illogica mette in giro“, con l’ipotesi che sia una strategia (più o meno senziente) per spaventare i popoli generando una vera e propria “isteria” che ottiene il solo effetti di “non [far] capire quali sono gli strumenti utili e quali quelli inutili”.

Le balle ecologiste sulle api: impollinatori importanti, ma meno di molti altri insetti completamente ignorati

Il punto di partenza del Foglio è riservato al vecchio (dobbiamo tornare addirittura indietro ai primissimi anni 2000, e ancora prima agli anni ’60) allarme sulla scomparsa progressiva delle api che – oltre ad essere causata dalla crisi climatica antropica – sarebbe all’origine della scomparsa di numerose colture; partendo dall’idea – oggi abbondantemente diffusa – che siano gli impollinatori per eccellenza. La realtà (dicevano prima) sta nel mezzo perché non si può certo negare che le api siano importanti impollinatori; ma si dovrebbe anche considerare che oltre a piante come “kiwi, frutto della passione, sorbo, anguria, zucca e zucchine” la loro opera riproduttiva si ferma – relegata ad altri tra i migliaia di insetti esistenti – e non include nessuna delle 12 colture che forniscono il 90% dei cibi consumati globalmente.



I catastrofisti della crisi climatica contro gli Ogm: sono davvero così tanto dannosi?

Il secondo punto è riservato ai criticatissimi Ogm, dipinti da fior fiore di campagne ambientaliste come il nemico assoluto per chi vuole scongiurare la crisi climatica con un iconica riflessione del fondatore di Slow Food Carlo Petrini che disse che “le piante (..) mal sopportano le modificazioni genetiche“; ignorando completamente che la natura stessa si regge su costanti modifiche ed adattamenti che – se non esistessero – oggi ci farebbero consumare carne di T-Rex al posto di quella di galline, polli e galli.

Per capire meglio la questione (e l’importanza) degli Ogm occorre fare l’esempio dei fitofarmaci usati per abbattere parassiti, larve e quant’altro: questi sono sicuramente un tassello fondamentale della sicurezza alimentare; ma al contempo sono costosi, di difficile impiego – specie se si pensa ad un campo agricolo di centinaia di ettari di estensione – e anche rischiosi (quando vengono spruzzati, distribuiti o nebulizzati sui campi) per tantissime specie di insetti che non sono dannosi.

La soluzione esiste e ci ricollega agli odiati – dai catastrofisti della crisi climatica – Ogm, perché quegli stessi fitofarmaci ricavati da molecole prodotte in nature (vedesi voce: Bacillus Thuringiensis) al posto di essere imbottigliati o inscatolati dalle industrie chimiche potrebbero essere prodotti da qualsiasi pianta che coltiviamo; senza rischi per l’uomo. Per farlo si dovrebbe ricorrere alle modificazioni genetiche ma – mentre le sperimentazioni TEA sono oggi agli albori – a causa della lotta contro gli Ogm e di una vera e propria campagna di disinformazione non è più possibile senza incappare in multe, attività chiuse e campi distrutti.

Dalla crisi climatica al mondo green: le batterie e l’elettrificazione come (falsa) panacea a tutti i mali

E mentre le balle sulla crisi climatica corrono, non va dimenticato neppure che si stanno diffondendo voci sempre più a favore dell’impiego di batterie ed energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili come vera e propria panacea contro tutti i mali ecologici: anche qui la verità è nel mezzo perché è evidente che non possiamo alimentare un intero pianeta estraendo e bruciando carbone (peraltro esauribile); ma è anche vero che non si può procedere con il para occhi sperando che qualche campo fotovoltaico ci traghetti nel 2030 che immaginavano le fiction sci-fi.

I problemi – spesso ignorati da chi grida alla crisi climatica senza troppe competenze – sono molteplici a partire dallo smaltimento di quelle batterie che dovrebbero alimentare le auto del futuro, oggi considerate rifiuti RAEE completamente impossibili da riciclare; ma ancor prima non va dimenticato che per evitare l’estrazione del carbone si cerca di spingere per quella delle cosiddette terre rare che – oltre a creare disparità sociali di cui non parleremo tra queste righe – inclusive anche di trasporto e lavorazioni hanno un impatto ambientale molto più alto dei combustibili.