C’è attesa per le decisioni che verranno prese al termine del Consiglio europeo in corso a Bruxelles. La Commissione europea ha intanto dato il via libera al nuovo quadro temporaneo di crisi sugli aiuti di Stato per fare in modo che i Paesi membri possano sostenere le imprese e i settori più colpiti dal caro energia.



Una decisione simile a quella presa quasi due anni fa di fronte alla conseguenze del Covid, che, per quanto importante, non pare essere sufficiente, come spiega Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, ad affrontare la situazione economica che si va delineando dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.



Professore, c’è quasi l’impressione che l’Europa sia veloce e compatta nel prendere le decisioni relative alle sanzioni contro la Russia, ma non per aiutare l’economia che sta affrontando un momento molto difficile che non pare destinato a scomparire a breve.

Mi sembra che sia un dato di fatto, soprattutto guardando le conclusioni dell’Eurogruppo del 14 marzo. Leggendole, ho percepito la volontà di mantenere inalterati i piani sulle politiche fiscali stabiliti nei mesi precedenti, e cioè di ritornare dal 2023 alla normalità. Dove però per normalità si intende quella del Patto di stabilità di crescita. Credo che ci sia una discrasia tra l’enunciazione politica e le linee di politica fiscale che vengono adottate.



Quale sarebbe l’enunciazione politica cui fa riferimento?

È un’enunciazione molto forte di unità, di compattezza. Ed è anche positiva. Non dobbiamo infatti dimenticare che il progetto di un’unione politica europea è naufragato negli anni ’50 ed è emersa l’idea di creare un’unione economica con la convinzione che avrebbe contribuito a creare quella politica. Oggi ci troviamo in una situazione rovesciata: la politica c’è, perché l’Europa non è mai stata così unita, e questa dovrebbe essere l’occasione d’oro per fare in modo che l’economia si ad essa collegata. Se adesso la politica ha questa determinazione, sarebbe un’assurdità che l’economia non fosse collegata con la politica. 

Cosa impedisce, secondo lei, questo collegamento?

Una versione potrebbe essere che manca un coordinamento. I leader politici, cioè, fanno enunciazioni, che non sono di maniera, ma molto convinte, e a fronte di ciò persiste una discrasia insanabile con quello che viene affermato nei documenti economici. Un’altra versione potrebbe essere che ci sia nelle discussioni europee una sorta di convitato di pietra che ricorda che è ora di tornare alla normalità, cioè quella precedente la pandemia. Questo vorrebbe dire però pianificare di nuovo 20 anni di austerity per l’Italia.

Perché?

Perché il massimo di cambiamento di cui si è letto è quello di rivedere le procedure di rientro dei conti pubblici dei Paesi a debito elevato in modo che possano essere pensate su un arco di 20-30 anni. Il che è una follia, vorrebbe dire continuare a pagare per un debito pubblico che in Italia di fatto si è creato a seguito della crisi degli anni ’70, negli anni ’80 delle grandi spese. Noi usciremmo stremati da questo tipo di percorso, ma non è che gli altri Paesi stiano attraversando un momento florido. Credo che sia necessario un chiarimento, altrimenti questa grande e compatta visione politica che vediamo in questi giorni rischia di essere schiacciata da quella economica.

Chi può aver interesse a far sì che l’Europa resti ancorata al suo passato economico?

È una bella domanda, cui non è facile rispondere. Verrebbe da dire l’ottusità, ma non mi sembra una risposta abbastanza convincente. Onestamente dovrei capire meglio anche quali sono gli interessi economici che attraversano questa compattezza politica. È ora che la politica europea, che appare essere così compatta, dia una spallata alla dottrina economica che continua a pervadere le strutture.

Altrimenti cosa potrebbe accadere?

Se l’idea è che una volta terminata la guerra si torni al Patto di stabilità, allora non si farebbe altro che preparare il terreno a nuovi mal di pancia nei confronti dell’Europa: politicamente sarebbe un boomerang. Se la politica non interviene sul piano economico per dare sostegno in questa fase veramente molto difficile, andremo incontro a una frantumazione che non sarebbe a vantaggio di nessuno. Se al seguito di un’Europa unita politicamente arriva una prospettiva puramente contabile, che non tiene conto delle dinamiche strutturali e dell’Ue e di ciascun Paese, allora la politica stessa andrà disgregandosi.

Questa crisi determinata dal conflitto in Ucraina è più grave di quella del Covid?

Tenderei a dire che ha un effetto moltiplicativo. Non è che c’è la crisi pandemica e poi questa crisi che di certo non scomparirà il giorno seguente a un eventuale accordo per la fine del conflitto. Tant’è che oggi c’è una nuova possibile recrudescenza dei contagi. Se si dovesse individuare un prima e un dopo la crisi si potrebbe dire che il prima è quello pre-pandemico e il dopo sarà a seguito di un periodo di almeno 5-10 anni dalla fine del conflitto. Dunque, quello che è stato fatto in Europa durante la pandemia dal punto di vista economico non può cessare di colpo e lasciare aperta la strada alle visioni pre-pandemia. Come diceva von Jhering, la vera politica è la capacità di guardare agli interessi lontani. Questo è quello di cui oggi abbiamo bisogno.

(Lorenzo Torrisi)

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