Bisogna ringraziare la Polizia di Stato se adesso sappiamo chiaramente cosa ci aspetta. “La situazione di incertezza sul fronte economico e sociale che la guerra ha aperto, anche per i riflessi sul mercato energetico e sull’approvvigionamento di materie prime, potrebbe determinare un pesante impatto sulla produzione industriale, sulla crescita economica, sui livelli occupazionali e, quindi, sulla tenuta sociale del Paese” (corsivo nostro). Lo ha detto ieri il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese parlando alla Polizia nel 170esimo anniversario di fondazione.
Il governo arranca. Oggi Draghi vedrà Salvini e Tajani: Lega e Forza Italia difendono il loro no alla delega fiscale, dalla quale arriverebbe, secondo i due partiti, un aggravio certo – nonostante le smentite dell’esecutivo – della pressione fiscale per imprese e famiglie.
“Bisogna votare”, ci dice Antonio Pilati, saggista, esperto di comunicazione, già componente di AgCom e Antitrust. La crisi sarà drammatica, servono scelte forti e coraggiose che non può prendere un governo di larghe intese agonizzante.
Sono mesi che la situazione economica è più grave di quello che dice il governo. Dunque non si poteva più tacere.
Lamorgese parlava alla Polizia di Stato. Vuol dire che ha avvertito il dovere istituzionale di mettere sull’avviso chi ha la responsabilità dell’ordine pubblico.
Le motivazioni addotte dal ministro?
Tutte fondate. Lo diciamo da tempo. I prezzi aumentano per ragioni legate non alla domanda ma alla scarsità dell’offerta, l’inflazione media annua si arrampica verso il 7%, la produzione industriale a fine anno potrebbe essere negativa, la Bce diminuirà l’acquisto di titoli. Chiuderanno molte imprese e molti lavoratori rimarranno per strada.
Gli italiani sono consapevoli della gravità della situazione?
Io credo di sì. Basta vedere le bollette o andare al supermercato e la situazione diventa chiarissima. Il governo dovrà adottare misure drastiche, impopolari.
Si riferisce ai razionamenti? La Spagna li sta già facendo, l’Italia non ancora.
Può essere, ma in generale il bilancio pubblico sarà messo in tensione.
A proposito di rinunce. La dichiarazione di Draghi sulla pace e sui condizionatori ha spiazzato molti. Tradotta, chi vuole la pace approva le sanzioni. Ma a che prezzo?
Si possono fare due considerazioni. La prima riguarda la comunicazione politica.
Ci dica.
Quando i prezzi della pasta aumentano del 10% e le bollette del 30%, lo spazio della comunicazione si riduce: diventa difficile raccontare storie. Mi sembra arduo pensare che gli ucraini possano sconfiggere i russi grazie alle armi che arrivano dall’Europa. La domanda andrebbe riformulata: preferite stare senza aria condizionata o con una guerra che durerà a lungo? Ma assomiglia tanto alla storia di burro e cannoni di lontana memoria.
E la seconda considerazione?
La guerra, come il Covid, ha accentuato la tendenza alla censura e alla guida del discorso pubblico. Ma una democrazia in cui vige il pensiero unico è una democrazia dimezzata. Negli anni Settanta neppure chi simpatizzava con il terrorismo veniva messo all’indice. Vuol dire che il confronto, e con esso la democrazia, erano più forti. La guerra in Ucraina sembra essere il punto di arrivo di un lungo regresso della libertà di parola in ambito pubblico.
Lega e Forza Italia sono compatte nel dire no alla delega fiscale del governo. Cosa può succedere?
Nella situazione che abbiamo descritto, con l’economia che si deteriora a vista d’occhio e il divario sociale che aumenta, stare al governo con le elezioni che si avvicinano è una grossa responsabilità e forse anche uno svantaggio.
La rabbia crescerà.
Appunto. Chi vede peggiorare le proprie condizioni di vita, non vedrà in buona luce chi sta al governo. È perfettamente plausibile che qualche forza politica si interroghi sull’opportunità e la convenienza di continuare a sostenere Draghi.
Draghi non se ne preoccupa, e ancor meno Letta. Anzi. Le cito un recente titolo di Repubblica: “Il caso Russia, il fisco e la giustizia: perché la Lega è una zavorra per il governo”.
Se un partito non è in perfetta sintonia con tutte le scelte di Draghi, più resta al governo, più gli sarà difficile fare campagna elettorale. Ma c’è un aspetto più oggettivo, e ha a che fare con l’indebolimento della democrazia che ho appena detto. Vuoi per ragioni economiche, vuoi per ragioni politiche.
Si spieghi meglio.
Questa legislatura e questo parlamento sono durati troppo. Si sono succedute tre maggioranze completamente diverse. Per affrontare la crisi drammatica in arrivo è molto meglio avere un parlamento appena eletto e un governo legittimato da un risultato elettorale fresco, piuttosto che prolungare l’esistenza di un parlamento che risale a un mondo politicamente lontanissimo.
Insomma, prima si vota e meglio è.
Sì, perché ci sono da prendere decisioni molto gravi e molto difficili.
Voto di fiducia sulla delega fiscale, governo in minoranza, crisi. È questo lo scenario?
Non lo sappiamo, i modi possono essere tanti, anche meno traumatici. Se si deve sciogliere il parlamento, è bene farlo dopo aver approvato la legge di bilancio 2022. Una ragione in più per anticiparla.
Crisi di governo può anche voler dire reincarico a Draghi. Se FI, per una ritrovata “responsabilità”, appoggiasse il bis, Letta avrebbe realizzato la maggioranza Ursula.
Avremmo la maggioranza Ursula, ma poi non ci sarebbe più il Paese. Non sono mai riuscito a capire bene la riluttanza a convocare nuove elezioni quando il parlamento dimostra di avere difficoltà a costruire delle maggioranze coerenti.
La riluttanza che dice vuol dire guadagnare tempo, evitando un governo di centrodestra, e nel frattempo adeguarsi ai dettami di Bruxelles, facendo una politica economica “più restrittiva in uno scenario di crollo del Pil”.
Ormai mancano pochi mesi alla fine della legislatura e tenere in vita un parlamento sbandato rischia di farci affondare.
Cosa succede all’Europa, e a noi, se Macron perde le presidenziali?
Ritengo difficile una sconfitta di Macron. Detto questo, l’Europa è in grande difficoltà anche al netto delle presidenziali francesi: più la guerra va avanti, più le economie europee rischiano di venire distrutte. Il continuo rilancio dell’opzione bellicista non fa gli interessi dell’Ue, semmai di qualcun altro.
La costruzione europea è a rischio?
Oggi mostra un’unità molto fragile. Poiché gli interessi dei Paesi che la compongono sono differenziati, se la guerra si prolunga questi interessi rischiano di divergere e di scoppiare.
(Federico Ferraù)
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