Dopo un lungo braccio di ferro e minacce da ambo le parti, la crisi di Governo è stata formalmente aperta ieri da Matteo Renzi, che nel tardo pomeriggio ha annunciato le dimissioni dei ministri Bellanova e Bonetti e del sottosegretario Scalfarotto. Un atto arrivato al termine di una giornata in cui il premier Conte si era recato al Colle e tornando verso palazzo Chigi, intercettato dai cronisti, aveva detto di voler lavorare fino all’ultimo per un patto di legislatura e per scongiurare una crisi che non sarebbe compresa dagli italiani. Parole che unite al ritardo con cui a Montecitorio è cominciata la conferenza stampa del leader di Italia Viva, avevano fatto pensare a una ricucitura in extremis. «Sembrava in effetti – ci dice Guido Gentili, editorialista del Sole 24 Ore – che la crisi fosse rientrata. Invece va dato atto a Renzi di essere andato fino in fondo e di aver fatto chiarezza, tra l’altro accusando il premier di aver creato “un vulnus nelle regole del gioco, delle regole democratiche”».



Ora la palla passa proprio a Conte. Cosa farà?

Il presidente della Repubblica ha evidenziato la necessità di uscire velocemente dalla condizione di incertezza e mi sembra che per il premier gli spazi di azione si siano complessivamente ristretti: o fa un passo indietro oppure va alla conta in Parlamento, sapendo che il Quirinale è contrario a maggioranze raccogliticce. Se quindi decide di percorrere questa seconda strada si assume un rischio enorme.

Almeno il Recovery plan è al sicuro come di fatto chiedeva il Colle?

Relativamente, nel senso che è vero che c’è stata una svolta rispetto alla prima stesura di un mese fa, e questo la dice lunga sulla cura che è stata messa nella fase iniziale di questo progetto fondamentale per il Paese, ma anche dopo i miglioramenti apportati rimane la sensazione di un piano che in qualche modo continua a cercare di distribuire le risorse a pioggia, senza tener conto di alcune questioni fondamentali.

Quali?

Per esempio, nonostante fosse stato indicato tra i temi forti che il presidente del Consiglio aveva promesso di affrontare già nella verifica impostata alla fine del 2019, che poi non c’è stata a causa della pandemia, e sia riemerso anche successivamente, nel testo del Pnrr non si parla di produttività. Per un Paese che ha un deficit conclamato di produttività, stagnante ormai da 25 anni, questa mi pare una grave omissione. Anche per quanto riguarda la sanità sembra che ci sia stato un raddoppio secco dei fondi, ma in realtà non è così, perché sono stati accorpati degli investimenti già previsti su un altro canale di spesa, come quelli sull’edilizia ospedaliera. Credo quindi che ci siano ancora lacune importanti nel Recovery plan.

Nei prossimi mesi bisognerà implementare il Recovery plan e, dal punto di vista economico, ci sono dossier importanti ancora aperti. Un nuovo Governo Conte sostenuto dai cosiddetti responsabili sarebbe all’altezza del compito?

È proprio questo il punto. Bisogna portare avanti il piano vaccinale e la lotta alla pandemia che non ci darà tregua; ci sono dossier ancora aperti, dalla rete unica a Mps, passando per Alitalia e Ilva; ci sono tanti impegni importanti per un Paese economicamente con l’acqua alla gola: di fronte a questo quadro una maggioranza retta dai responsabili non sembra adeguata. È vero che c’è un precedente, quello del 2010, quando Berlusconi, fuoriuscito Fini dalla maggioranza, ottenne la fiducia grazie alla “operazione Scilipoti”, ma sappiamo bene che si trattò di un tirare avanti che non evitò il tragico 2011: la traballante maggioranza fatta coi responsabili non resse l’urto delle urgenze di quel momento, che oggi, vista anche la pandemia, se vogliamo sono moltiplicate per dieci. Quindi o dal confronto parlamentare esce una maggioranza solida, che al momento non si vede, oppure il solo contributo dei responsabili mi sembra largamente inadeguato per dar vita a un esecutivo in grado di affrontare le sfide che il Paese ha di fronte.

C’è anche da considerare il fattore tempo: se si vuole tornare al voto bisogna farlo prima del semestre bianco.

Esatto. Il tempo è poco e se si vuole tornare alle urne ci sono due possibilità. La prima è il voto a febbraio-marzo, con la grande incognita della possibile terza ondata di contagi. In questo caso Conte potrebbe restare a palazzo Chigi a gestire gli affari correnti. Se invece ci si dà un orizzonte più lungo può entrare in campo l’ipotesi di un Governo del Presidente che garantisca l’approdo alle elezioni con un premier diverso da Conte.

Questa è la scelta non semplice che spetta a Mattarella. Anche il Pd è però in una situazione difficile: può smarcarsi da Conte nel caso si vada alla conta in Parlamento e si palesino i responsabili?

Il Pd, dopo aver chiesto per mesi un cambio di passo, senza però andare oltre le parole, ha puntato su una sostanziale marcia in parallelo con le osservazioni critiche di Renzi, assecondandolo di fatto, salvo poi schierarsi all’ultimo momento senza se e senza ma dalla parte del premier. La mossa del leader di Italia Viva e l’iniziale dura contrapposizione di Conte hanno di fatto scompaginato i piani mediatori di Franceschini e di quanti tra i dem, molto probabilmente anche ieri fino all’ultimo, puntavano a tenere insieme la maggioranza attuale. Dunque il Pd è in questo momento il partito maggiormente spiazzato e accodarsi all’ipotesi dei responsabili con il tocco salvifico di Mastella credo che rappresenti un serio problema per la compagine di Zingaretti.

Sarebbe meno problematico dire sì a un Governo del Presidente cui dovrebbe partecipare anche un parte del centrodestra?

Un Governo del Presidente con l’obiettivo di portare il Paese alle elezioni, sempre che le condizioni sanitarie lo consentano, potrebbe essere una scelta su cui potrebbero convergere tutti. Ovviamente deve essere un Governo “indiscutibile”, con un premier al di sopra delle parti e altamente credibile. Da questo punto di vista si tratta di ripetere l’esperienza del Governo guidato da Ciampi, chiamato in causa per traghettare il Paese verso le elezioni del ’94, con un programma semplice di pochi punti. Occorre quindi una figura professionale ineccepibile, con intorno a sé un’ampia unità nazionale vera, non raccogliticcia. 

Un Governo con ministri tecnici o politici?

Francamente è difficile dirlo perché siamo in una situazione molto complicata. Visto che le due grandi emergenze sono la sanità e l’economia potrebbe anche avere senso non cambiare troppo e mantenere, se devono essere politici, i due attuali ministri che si occupano di questi temi. Se invece bisogna apportare dei cambiamenti più profondi, occorre un esecutivo altamente competente, in particolare per portare avanti la partita del Recovery plan e affrontare l’emergenza sanitaria, quindi con tecnici capaci di amministrare una fase del genere.

Compresa quella che ci sarà dopo la fine del blocco dei licenziamenti…

Certamente. Questo è uno dei punti più importanti e più difficili da affrontare: traghettare il Paese anche dal punto di vista sociale. Sarà un momento decisivo e non potrà essere trattato, come sembrava dalle ultime dichiarazioni della ministra Catalfo, sostanzialmente cercando di riproporre una proroga del blocco dei licenziamenti, continuando con una politica di non scelta, andando avanti un po’ alla cieca. 

Questo Governo del Presidente dovrebbe portare il Paese al voto prima di agosto, non può avere un orizzonte che va oltre…

Se il Governo del Presidente deve portare alle elezioni, queste devono essere al più tardi a giugno, prima che inizi il semestre bianco. Ovviamente tocca poi a Mattarella scegliere.

Che ruolo avrà l’Europa in tutta questa vicenda?

L’Europa ha avuto anche ultimamente un ruolo importante, basta ricordare l’intervento di Gentiloni con parole molto precise e nette sul Recovery plan che di fatto hanno dato il via alla fase di verifica vera del Governo. Dalle chiacchiere sul cambio di passo si è passati a discutere nel merito, tanto che si è arrivati a una sostanziale riscrittura del Pnrr. La presa di posizione dell’Europa è stata decisiva e credo lo sarà nei prossimi mesi. Bisogna poi tenere conto dei mercati.

Si dice che non gli piaccia l’incertezza politica.

Esatto e bisogna tenerne conto. Una soluzione sfilacciata e abborracciata con l’arrivo dei responsabili non piacerebbe né ai mercati, né a Bruxelles, che guarda ovviamente con preoccupazione all’Italia, perché un suo tonfo economico sarebbe un pericolo vero per l’Europa: farà di tutto per evitarlo. 

In che senso?

Non entrerà nelle scelte di politica interna del Paese, non è questo il punto. Il punto è che l’Italia deve assicurare un percorso credibile sul piano delle riforme necessarie per la ripartenza. L’Europa non starà quindi alla finestra, nel caso si farà sentire, anche perché il Recovery fund è basato su soldi sia nostri che degli altri: la mutualizzazione del debito salutata con tanto favore significa anche che gli altri Paesi ora ci guardano con ancor più attenzione rispetto al passato. 

(Lorenzo Torrisi)