È una crisi in cui gli scenari cambiano ogni 24 ore. Se venerdì dalle parti di Palazzo Chigi era stata la giornata degli entusiasmi per il probabile coagularsi di un gruppo di “costruttori”, ieri è arrivata la doccia fredda. Un ribaltamento totale. L’Udc con i suoi 3 senatori si è sfilata, resistendo a forti pressioni giunte da più parti, compreso – così pare – lo stesso segretario di Stato vaticano Pietro Parolin: “Non ci prestiamo a giochi di palazzo, restiamo nel centrodestra”, ha messo per iscritto il segretario Lorenzo Cesa. E anche Clemente Mastella da Benevento ha fatto capire di volersi chiamare fuori: “Io non sono né pilastro né costruttore”, ha detto a TgCom24, “su questa crisi sono molto diffidente”. Segnali di retromarcia sono venuti anche dal socialista Riccardo Nencini, che sembrava sul punto di lasciare Italia viva per unirsi alla truppa dei responsabili.
Difficoltà crescenti, dunque, per Giuseppe Conte. Il passaggio parlamentare, nel quale avrebbe dovuto “asfaltare” Matteo Renzi, si sta rivelando un’incognita profondissima. La situazione è ancora in movimento e le sorprese sono sempre possibili fino a domani, quando il presidente del Consiglio pronuncerà il discorso alla Camera. Ma l’ipotesi “costruttori” ieri si è molto allontanata. Al momento al Senato i voti per il governo non dovrebbero superare i 154: sufficienti a strappare una fiducia per tirare a campare, ma la maggioranza assoluta di 161 a Palazzo Madama è un miraggio. E soprattutto il Conte 2 diventerebbe un governo esposto a rischi altissimi, privo di una vera maggioranza politica, soggetto a ricatti quotidiani.
Chi si frega le mani è Renzi. Il suo partito sembrava sull’orlo del disfacimento e invece ha resistito: nessuno lascerà, almeno così pare. Ma l’intera “operazione costruttori” si sta rivelando fragile: vanno bene i discorsi sulla responsabilità e il bene del Paese, ma perché legarsi mani e piedi a un governo raccogliticcio, che non si dimostra efficace nella lotta al Covid e nel favorire la ripresa dell’economia, ma soprattutto non è in grado di garantire la rielezione a nessuno? Se fallisce il reclutamento dei “costruttori”, per evitare le elezioni non resterà che riaprire la trattativa con Renzi. Ingoiare il rospo e ricucire con il leader di Italia viva per evitare le elezioni che nessuno vuole.
Ieri dal Colle sono rimbalzate voci, non confermate, che il cerimoniale del Quirinale sarebbe stato preallertato per domani in vista di un possibile arrivo di Conte. Finora il presidente del Consiglio è salito al Quirinale soltanto per colloqui non ufficiali, ma l’allerta del cerimoniale significa che non si esclude un passaggio formale, il primo di questa stranissima crisi. Che cosa dunque potrebbe accadere domani? Lo scenario che si può ipotizzare è questo. Oggi gli sherpa di Palazzo Chigi e del Pd continueranno la caccia ai responsabili. Domani, quando si presenterà a Montecitorio, Conte avrà in tasca due discorsi: uno di vittoria se avrà raggiunto i numeri sufficienti a fare ufficialmente a meno di Italia viva, il secondo di dimissioni evitando il passaggio al Senato. Il che spiegherebbe il preallarme del cerimoniale quirinalizio: per accogliere il congedo di Conte.
Per il presidente del Consiglio, le dimissioni dopo il discorso a Montecitorio sono l’unico modo per sperare di ottenere un reincarico: andare sotto al Senato segnerebbe la sua fine politica. Il reincarico significa dover negoziare con Renzi e rimangiarsi il disprezzo dei giorni scorsi. E ridare al leader di Italia Viva quella centralità che forse era l’unico obiettivo del senatore di Rignano.