Draghi è in bilico, più no che sì. I pentastellati sono in bilico, anzi sul punto di cadere nel baratro. L’Italia è in bilico sull’orlo di una triplice crisi, politica, economica, istituzionale. I mercati stessi sono in bilico: le dimissioni del presidente del Consiglio hanno provocato un sussulto dello spread finora tutto sommato minore di quel che si temeva, ma secondo gli analisti di Rabobank siamo entrati in quella zona di pericolo, tra il 2% e il 2,5% in più rispetto al tasso del Bund decennale tedesco, che in precedenza aveva spinto la Bce a intervenire. Di qui a mercoledì assisteremo a colpi di freno e di acceleratore, poi quando il capo del governo, lasciato in carica dal presidente della Repubblica, parlerà alle Camere sapremo se si andrà a votare a ottobre o se il cammino di una legislatura ormai azzoppata continuerà a balzelloni fino a maggio del prossimo anno.
Il giorno dopo, giovedì 21 luglio, la Bce aumenterà i tassi per la prima volta in undici anni facendo finire l’era Draghi, quella dei tassi a zero e dell’acquisto di titoli pubblici.
La scorsa settimana avevamo scritto che a questo punto sarebbe stato meglio arrivare al momento della verità, tuttavia pensavamo a una sorta di “crisi pilotata” come ce ne sono state molte nel passato (nella prima repubblica e non solo) che consentisse a Draghi di stringere i denti e serrare le fila. Ora ci troviamo in una situazione diversa, nel bel mezzo di uno showdown provocato da un conflitto che per il momento nessuno riesce a ricomporre, nemmeno l’abilità manovriera di Sergio Mattarella. Nel tardo pomeriggio di sabato 16 luglio, non sappiamo se la notte porterà consiglio, intanto abbiamo messo insieme qualche conticino, basandoci sull’analisi del centro studi di Unimpresa.
Da domani fino alla scadenza naturale della legislatura, nel marzo prossimo, occorre rinnovare titoli del debito pubblico per 341,8 miliardi euro più euro meno. Scadono, infatti, Btp per 202,6 miliardi di euro, arrivano a fine corsa 103,6 miliardi di Bot, 23,1 miliardi di Cct e 12,4 miliardi di Ctz. La maggior parte matura di qui a fine anno, esattamente 200,1 miliardi di euro. In tutto il 2023 bisognerà collocare 300,9 miliardi di obbligazioni pubbliche: 40,7 miliardi di Bot, 23,2 miliardi di Cct e 236,9 miliardi di Btp. Nel 2024, poi, scadrà debito pubblico per 249,4 miliardi: 208,3 miliardi di Btp e 30,2 miliardi di Cct. In totale, i titoli di Stato in circolazione valgono 2.256,3 miliardi di euro, dei quali 1.975,6 miliardi in Btp, 110,1 miliardi in Bot, 147,2 miliardi in Cct e 12,4 miliardi in Ctz. L’onere del debito è già aumentato, spinto dal rialzo dalla spinta dei mercati: il tasso medio ponderato sui titoli di stato che era vicino allo zero adesso è vicino all’1%.
La situazione è ancor più pericolosa perché s’inserisce in una congiuntura internazionale che secondo Larry Fink, il big boss di BlackRock, non si era vista in decenni. “La prima metà di quest’anno – ha scritto ai suoi clienti il capo del più grande fondo d’investimenti del mondo – ha portato una combinazione di sfide macroeconomiche e finanziarie che gli investitori non hanno visto da decenni. Il 2022 si colloca già nel peggiore periodo in 50 anni sia per le azioni, sia per le obbligazioni”. Non ci sono segnali che la seconda metà sarà migliore perché quelle sfide continuano: volatilità, inflazione, caro denaro, super dollaro, crisi energetica, la guerra in Ucraina che non sembra avviarsi verso una tregua.
È un quadro che spiega anche i commenti stranieri, pessimistici, anzi addirittura drammatici sulla situazione politica italiana. Non si tratta di complotti o perfide speculazioni, tutti sono preoccupati per il futuro di un Paese importante in Europa e in Occidente, le cui vicende possono avere un’influenza determinante sugli equilibri internazionali. “La crisi di governo più assurda”, scrive il quotidiano conservatore tedesco Die Welt in un lungo articolo con il quale accusa il Movimento 5 Stelle di “non preoccuparsi dei contenuti, ma di voler solo ottenere voti attraverso la protesta”. “L’Italia ha bisogno di Draghi ora più che mai”, secondo il progressista Suddeutsche Zeitung; l’articolo pubblicato all’indomani delle dimissioni di Draghi ha un titolo eloquente: “L’Indispensabile”. Per il New York Times è “una catastrofe”. Il Wall Street Journal di Rupert Murdoch s’interroga sull’impatto della Russia, per il Financial Times “Draghi si dibatte nel pantano della turbolenta politica italiana”.
In realtà Londra e Tel Aviv dimostrano che le turbolenze non riguardano solo Roma, in Spagna hanno votato tre volte in tre anni senza mai trovare una solida maggioranza, in Svezia i socialdemocratici governano in minoranza, quanto alla Francia Emmanuel Macron è stato rieletto, però non controlla l’Assemblea nazionale.
Andare al voto fa parte della normale vita democratica, ma se poi non si riesce ad avere un chiaro vincitore e a governare, quella stessa vita democratica si trasforma in una guerriglia politica permanente. Non ha torto, dunque, il Wall Street Journal a scrivere che guerra, inflazione, crisi energetica sono tre colpi di maglio per le democrazie occidentali. Le elezioni non sembrano di per sé una soluzione, il 53% degli italiani, secondo i sondaggi, non le vuole e ha ancora fiducia in Draghi. L’Italia non è sola davanti a dilemmi che vanno al di là di ambizioni parrocchiali, ma non è affatto una consolazione. Al contrario, proprio lo scenario mondiale dovrebbe spingere gli attori di questo psicodramma a ragionare sulle conseguenze dei loro colpi di testa.
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