La partita a scacchi sull’apertura della crisi di governo, che lasciava aperte tante strade, ha trovato la più rapida e inaspettata soluzione. Conte, preavvertito da Salvini sull’intenzione definitiva di abbandonare il “governo del cambiamento”, ha ceduto alle sirene della parlamentarizzazione della crisi. Così, ha rilasciato una dichiarazione in cui ha sfidato Salvini ad esporre in Parlamento le ragioni dell’abbandono della scialuppa. E ha aggiunto che i tempi della crisi non potevano essere dettati dallo stesso Salvini, dato il coinvolgimento di “ben altri attori istituzionali”. Non rassegnando le dimissioni, però, Conte ha commesso tre errori.



Innanzitutto, le sue dimissioni erano un passo praticamente – e dunque istituzionalmente – necessitato, data la frattura ormai pubblicamente consumatasi con uno dei due partiti della coalizione. A quali forze politiche presenti in Parlamento Conte potrebbe mai chiedere un qualche appoggio per prolungare il futuro del suo governo? E quali gruppi parlamentari sarebbero disposti a rendere pubblico un loro possibile sostegno ad un Conte-bis? Al calvario di una parlamentarizzazione di “testimonianza e trasparenza” era senz’altro consigliabile sottrarsi.



Inoltre, non recandosi subito al Quirinale, Conte si è precluso l’immediato ricorso a quell’ombrello che il presidente Mattarella avrebbe potuto offrire ai contendenti tutti, Conte compreso. L’apertura della crisi sulla sola base delle dichiarazioni – dal tono per lo più propagandistico – di Salvini, avrebbe determinato una complessa condizione di stallo, destinata forse anche a torbidi e magmatici sviluppi. In ogni caso, il balletto delle consultazioni estive avrebbe ancor più insolentito l’opinione pubblica, già infastidita dalle stridenti contraddizioni della maggioranza e dai conflitti interni ai partiti tutti. Salvini ne sarebbe stato additato come il principale responsabile, e Conte, mantenendo una qualche visibilità, sarebbe potuto tornare utile per soluzioni, per così dire, originali.    



Infine, sfidando Salvini al dibattito in Parlamento, Conte gli ha implicitamente offerto un’arma ulteriore per consolidare il consenso popolare, si vada o meno alle elezioni: la presentazione della mozione di sfiducia. Innanzi alla desolante piattezza della nostra classe politica, infatti, Salvini appare sempre più come il leader coraggioso, che non ha paura di affrontare a viso aperto le sfide che gli sono lanciate. Non si sottrae neppure, per la prima volta nella storia repubblicana, a presentare una sfiducia espressa nei confronti del premier dell’esecutivo di cui si è parte. Con la mozione di sfiducia destinata a sicuro successo e calendarizzata in Senato a breve, Salvini potrà presentarsi come forza di opposizione rispetto al Governo Conte, e nello stesso tempo come perno del futuro governo.

Chi si affidava alla legge del “cerino” – secondo cui gli elettori puniscono chi risulta responsabile della crisi pre-elettorale – non ha compreso che il mondo è cambiato. Soprattutto, deve riflettere sul fatto che il vento della crisi è venuto anche dall’estero, Europa compresa. L’Italia, come spesso è accaduto, è un crocevia che anticipa e riflette con immediatezza il corso degli eventi geo-politici. Chi vorrà temporeggiare, sarà inevitabilmente sconfitto o si assumerà la responsabilità ultima del declino del Paese.