Come in una mano di burraco, non ci resta che studiare lo “scarto” per provare a capire le strategie dei giocatori.
Ad oggi la trattativa Renzi-Conte per trovare una soluzione alla frattura aperta nella maggioranza non ha fatto molta strada e se si dovesse fermare qui bisognerebbe prendere atto che le posizioni sono ancora troppo distanti e non resterebbe che la rottura. Siamo ad un passo dal voto anticipato che, come dice Giuliano Ferrara, “tutti si sentono di escludere, e proprio quando tutti lo escludono può capitare l’incidente che ti ci porta”.
Del resto sappiamo per certo che per il presidente Mattarella le elezioni diventerebbero inevitabili se l’attuale maggioranza non fosse in grado di ricompattarsi. “Niente giochini”, è stato chiaro il presidente. Niente responsabili, voti al foto-finish, astensioni più o meno dichiarate.
Per questo aumenta la paura. In fondo sembra proprio che questo voto anticipato non lo voglia nessuno. La linea Franceschini nel Pd ha trovato l’insolita opposizione dello stesso Zingaretti. Ma neanche in casa 5 Stelle si ritiene venuto il momento in cui è inevitabile fare harakiri. Renzi se la gode, perché il punto segnato a suo favore in queste ore nasce proprio dal rifiuto del voto anticipato che mette i due principali partiti della maggioranza in balia dei suoi capricci.
È in questo spazio che hanno cominciato a costruire la loro tela i “pontieri”. In particolare si è fatto avanti Goffredo Bettini, che di “accordi impossibili” ha costellato la sua lunga carriera di uomo-ombra del potere capitolino. Bettini rimane comunque uno dei pochi nel Pd con idee precise, visione di gioco e quella necessaria spregiudicatezza che lo porta spesso all’indifferenza per ogni questione di merito. Ha così incominciato a smontare ogni singolo mattoncino del muro costruito da Renzi per delimitare il proprio campo di azione.
Il primo a cadere è stato quello relativo alla fondazione che doveva – nei sogni di Conte – gestire i servizi segreti del nostro paese. Via, cassato con un tratto di penna. Poi è toccato al progetto per il Recovery Fund. Tolto dalle mani di Amendola e passate a quelle più esperte di Gualtieri, il piano ha subito una radicale riscrittura. Meno debiti, meno piccoli progetti, meno bonus e prebende. Con un occhio teso a tranquillizzare i ragionieri di Bruxelles, l’altro a far vedere a Renzi la volontà di aumentare la quota degli investimenti. Infine è toccato al mattoncino del Mes. Anche qui l’artifizio non è da poco e con maestria il mediatore del Pd ha fatto accettare ai 5 Stelle un uso parziale del Mes, almeno quello necessario per coprire le spese già sostenute per la sanità durante la pandemia (circa 8 miliardi).
Un lavoro niente male, che ha spianato la strada al tema più delicato ancora sul tappeto, quello del rimpasto. Fuori i ministri più deboli, quelli senza-partito, quelli che hanno chiaramente mostrato in questi mesi la corda, e dentro i big. Spazio per due vice-primi ministri (Orlando e Di Maio), fuori la Lamorgese, dentro un ministro degli Interni gradito a Italia Viva (Guerini), fuori Azzolina e De Micheli, dentro altre donne del Movimento, forse l’Appendino se non addirittura la Raggi, un ruolo importante per lo stesso Matteo Renzi, ad esempio come ministro degli Esteri.
Ecco la strada per una “crisi con la luce”, che dovrebbe tranquillizzare tutti quelli che temono la cosiddetta “crisi al buio”. Nel senso che – fatto l’accordo – Conte 2 va da Mattarella, racconta al presidente i termini del nuovo accordo, riceve un mandato per un Conte 3, forma il nuovo governo e si presenta alle Camere per il rituale e indispensabile voto di fiducia.
Rimane un “però”, che è il vero motivo che tiene tutto ancora in bilico. E il “però” è questo: a chi tocca fare la prima mossa? A chi l’onere di aprire i giochi con il rischio di rimanere fregato da improvvisi mal di pancia, da qualche “non avevo capito bene”, o da qualche reazione di qualche esclusa/o che, non accettando di fare da capro espiatorio, fa scoppiare qualche grana?
La pandemia è ancora troppo forte per poter commettere errori gravi. In questo situazione si sta giocando con il fuoco. Del resto si va in queste ore verso una nuova stretta in tutta Europa e anche in Italia non ci aspettano settimane e mesi facili.
Il vaccino sta alla guerra al Covid come lo sbarco in Normandia sta alla seconda guerra mondiale: dopo lo sbarco la vittoria apparve ormai certa ma ci vollero altri mesi e altri morti prima di poter mettere fine alla guerra e lasciarsi andare all’euforia. Quindi non è proprio il caso di abbassare la guardia, e per i festeggiamenti ci vuole ancora un po’ di tempo.