La domenica di relativa bonaccia dentro la maggioranza indica che le diplomazie sono più che mai al lavoro. Pochissime uscite polemiche, pochi retroscena. Uno spiraglio che lascia intravedere la possibilità di un Conte ter e di un rilancio sino a fine legislatura dell’attuale maggioranza. Questo almeno il desiderio di Pd, LeU e grillini, e forse sarebbe anche la soluzione più logica. La road map disegnata dal numero due dem, Orlando, vorrebbe stasera l’invio ai partiti della stesura definitiva del Recovery Plan, che domani, martedì, il Consiglio dei ministri sarebbe chiamato ad approvare. E mentre il Recovery approda in parlamento, nuovo patto di legislatura e rimpasto entro la prossima settimana.



Tutto fatto? Per nulla. La situazione rimane appesa a un filo, e la variabile tempo potrebbe rivelarsi decisiva, insieme alla fiducia. Si discute in un clima di diffidenza reciproca: Conte non si fida di Renzi, e viceversa. Emblematico che il documento contenente le richieste programmatiche di Italia viva sia stato mandato all’ideologo dei democratici, Goffredo Bettini, e non al premier. A lui, che qualcuno vorrebbe sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, l’onere della mediazione.

Per arrivare al Conte ter Renzi ritiene indispensabile il passaggio delle dimissioni formali del governo, quando l’intesa sul pacchetto “nomi+programma” sarà raggiunta. Da questo orecchio, però, il premier non ci sente. Teme che un momento dopo la sua salita al Colle le cose possano prendere tutta un’altra piega, e che il ritorno a Palazzo Chigi gli sia impedito. Sembra disposto a cedere molto, si dice sia pronto ad accettare la Boschi alla Difesa, con il trasloco di Guerini al Viminale e il sacrificio della Lamorgese, insieme alla rinuncia alla delega sui servizi segreti, vero pomo della discordia. Le dimissioni, quelle no.

A Renzi l’offerta di Conte non basta. E se da una parte aggiunge i ristori alla lunga lista delle richieste, dall’altra continua a sfidare il premier ad andare alla conta in Parlamento, se si sente tanto forte, ben consapevole che i “responsabili” sinora non si sono materializzati, nonostante il pressing degli emissari della maggioranza.

Ma lo scontro totale nelle aule della Camera e, soprattutto, del Senato è proprio quello che il presidente Mattarella vorrebbe evitare. Un passaggio troppo lacerante, che rischia di rendere la situazione del tutto ingovernabile. Nei corridoi del Quirinale si respira un misto di preoccupazione e di amarezza. Il timore è che la situazione sfugga di mano, il dispiacere è per i tanti appelli alla ragionevolezza rimasti sin qui inascoltati.

La stella polare del Colle rimane il cercare di evitare il vuoto di potere in un momento cruciale per il paese, con la pandemia da affrontare e i piani per la ripresa economica da scrivere rispettando i tempi stretti imposti dall’Europa. L’impressione degli osservatori è che il presidente Mattarella sarebbe disposto a concedere molto, se ci fosse l’accordo. Persino una via per evitare le dimissioni, se ci si limitasse a un solo ingresso nella compagine governativa. A fargli storcere il naso è invece l’ipotesi che a sorreggere l’esecutivo in modo determinante possa essere una pattuglia di parlamentari raccogliticci. I “responsabili” non garantiscono una maggioranza politica, è il ragionamento, solo quella numerica.

Sin qui il Capo dello Stato è sembrato spettatore impotente, anche se in realtà i suoi canali di dialogo sono sempre attivi. Il problema è che l’arsenale a sua disposizione risulta assai limitato. Chiedere di fare in fretta l’ha già fatto, ma il suo invito è rimasto inascoltato. Non gli resta che la minaccia dello scioglimento delle Camere. L’ipotesi appare più reale di quanto non si possa immaginare, ma è tutto il contrario di quel che Mattarella ritiene la soluzione più opportuna per il paese in questa fase. Servirebbero costruttori, ha detto nel messaggio di fine anno, e lavoro concreto e concorde per il bene comune. Ma non dipende da lui. Dipende dai partiti, dai leader che continuano a punzecchiarsi.

Di una cosa si può però essere certi: se la crisi approderà nelle mani del presidente della Repubblica, le consultazioni (rese difficili dal Covid) saranno rapidissime, alle forze politiche verrà chiesta chiarezza. Per Mattarella si è già perso fin troppo tempo.