Nella giornata politica in cui tutti i fari sono stati puntati sui due Matteo, vale la pena non trascurare le dichiarazioni di Luigi Di Maio. Matteo Salvini con la mossa a sorpresa sul voto rapido al taglio dei parlamentari ha sparigliato le carte ed è uscito dall’angolo in cui era finito con il tentativo di accelerare la sfiducia a Conte. In crisi ora c’è il M5s: hai voglia a dire che la Lega “si è piegata” alla riforma grillina, ma è pur vero che la riduzione di deputati e senatori è ormai al quarto passaggio parlamentare e il partito di Salvini nei precedenti tre scrutini ha sempre votato a favore.
Che dice dunque Di Maio? Che si rimette alle scelte del Quirinale. “Siamo pronti, ma sul voto decide Mattarella”, ha scritto su Facebook. È un’osservazione fin troppo scontata: sciogliere le Camere e indire le elezioni è una delle (poche) prerogative assegnate dalla Costituzione al capo dello Stato. E allora che cosa c’è dietro una frase così banale? Probabilmente è la conferma delle grandi manovre in corso al Colle per verificare la possibilità di un nuovo governo, secondo la formula sulla quale Mattarella aveva spinto subito dopo il voto del 4 marzo 2018, cioè l’accordo tra M5s e Pd.
I grillini non vogliono andare a votare: ieri al Senato il capogruppo Patuanelli ha detto che la proposta leghista sarebbe ricevibile se accompagnata dal ritiro della mozione di sfiducia a Conte. E più tardi D’Uva ha ripetuto: se si apre la crisi, impossibile il taglio dei parlamentari. Meglio un accordo con gli odiati democratici che uscire dimezzati dal voto. Nicola Zingaretti ha già ammorbidito la decisione netta della direzione nazionale, che due settimane fa aveva sancito all’unanimità voto subito e nessun accordo con il M5s. Ora invece il Pd apre a un “accordo di legislatura”. Ieri Matteo Renzi ha ripetuto il suo “appello ai responsabili” per un governo “no tax” che faccia fuori Salvini. Dal Colle rimbalzano voci di un presidente favorevole a un nuovo governo se fondato su basi serie e solide.
Tutti segnali che coincidono: i partiti sono al lavoro, ma anche il Quirinale segue la cosa con grande attenzione. Anche perché questo nuovo assetto comporterebbe una serie di cambi di poltrona che Pd e M5s dovrebbero concordare. Si parla di Roberto Fico come premier: il presidente della Camera è una soluzione istituzionale, quindi ok. Ma poi bisogna trovare qualcuno da piazzare al suo posto. Magari proprio Di Maio, a tempo debito se l’accordo M5s-Pd sarà davvero di lunga durata e, soprattutto, corroborato dai risultati. Ipotesi forse premature, ma il tempo non è molto e se si vuole alzare un argine alla pressione leghista occorre fare in fretta e arrivare alle consultazioni con uno schema abbastanza definito. E sulla terza carica dello Stato una parolina verrà detta anche da Mattarella.