La crisi di governo con le possibili dimissioni di Draghi ha fatto crollare i titoli di stato italiani, la Borsa di Milano e ha fatto balzare lo spread. Draghi era il miglior garante per l’Europa e gli investitori essendo stato per otto anni il governatore della Banca centrale europea e per l’Italia garanzia di un rapporto con l’Europa equilibrato dopo anni di subalternità. Siamo in una fase geopolitica e finanziaria particolare perché nel mondo a settembre arriverà la recessione e in Europa una crisi energetica di cui non si comprende ancora bene la portata.
Ieri Macron, che è alla guida di uno dei Paesi sviluppati meno dipendenti dagli idrocarburi, ha parlato di razionamento energetico per imprese e cittadini. Non osiamo immaginare quale possa essere lo scenario per Germania e Italia anche dal punto di vista sociale dato che finora i sacrifici imposti dalle sanzioni alla Russia sono stati descritti nei termini di qualche grado in più d’estate e qualcuno in meno d’inverno.
Se fossimo nel 2011 o anche solo nel 2019 dopo le dimissioni di Draghi ci lanceremmo in un’analisi sui decimali del deficit, saldi primari e debito su Pil ed eventualmente su quale figura politica possa assicurare gli investitori e l’Europa sulla fermezza dei propositi italiani in termini di disciplina fiscale e riforme. Ma non siamo più in questo scenario. Quello che sta per arrivare, dal punto di vista economico e finanziario, è un’altra pandemia. Nella primavera del 2020 tutti hanno smesso di preoccuparsi di deficit e punti di Pil e invece si sono concentrati sulla conservazione del sottostante: l’economia, la capacità produttiva e via discorrendo. È inutile parlare di propositi di disciplina fiscale quando il Pil scende di dieci punti. Non stiamo dando un numero a caso o offrendo ai lettori un’iperbole per calcare la mano. Il Financial Times del 9 maggio pubblicava lo studio di un professore dell’università di Mannheim, nonché consulente del ministro dell’Economia tedesco, secondo cui l’improvviso taglio del gas russo avrebbe fatto perdere alla Germania fino al 12% della sua produzione con una perdita del Pil del 7%; tutto quantificato in un costo di 429 miliardi di euro. Se la Germania perde il 7% del suo Pil all’Italia va sicuramente peggio.
La domanda che bisognerebbe farsi è come mai l’Italia si trovi sola in questa nuova crisi intra-europea. La Spagna che ci ha fatto compagnia fino al 2014 e che era membro di diritto dei “PIIGS” e della periferia europea oggi sta infinitamente meglio dell’Italia per i mercati. Il suo spread e il suo cds sono da mesi molto migliori di quelli italiani; anche con Draghi. Eppure l’evoluzione del suo debito pubblico è stata uguale o peggiore di quella italiana. Il debito pubblico spagnolo nel 2007 era al 35% del Pil contro il 104% italiano. Nel 2019 la Spagna era al 95% e l’Italia al 134%. Il debito pubblico spagnolo è cresciuto del doppio di quello italiano. Ogni altro indicatore fiscale gioca a nostro favore. Perché quindi?
Possiamo ipotizzare che i mercati scontino un altro Governo sovranista in Italia, ma sinceramente ne dubitiamo. Ieri circolava l’ipotesi Amato che nel 1992 prelevò nottetempo lo 0,6% dei conti correnti degli italiani. Escludiamo che di fronte a quello che sta per arrivare qualcuno possa anche solo pensare di tranquillizzare i mercati con un piano di “austerity”. Non esiste debito troppo piccolo che rischi di non essere onorato per polverizzazione del sottostante. Stiamo parlando di fermare l’industria italiana per mancanza di gas. Anche se il debito su Pil fosse un terzo di quello attuale ci sarebbe di che preoccuparsi e dal punto di vista di un investitore, se sano di mente, è infinitamente meglio che l’economia sopravviva. In primis per il suo credito.
Lo spread che si è aperto tra Spagna e Italia non è uno spread finanziario. È uno spread politico. La Spagna dopo la crisi Lehman Brothers ha curato i suoi interessi sovrani, economici e politici, molto meglio che l’Italia. Dal suo sistema bancario salvato con i soldi dell’Europa a tempo debito fino alla sponda mediterranea. La Spagna non ha avuto una sua “Libia” con gli alleati dell’Italia, europei e della Nato, inglesi e francesi, che bombardano per impossessarsi delle sue risorse energetiche. Una vicenda agli atti della storia grazie a “Wikileaks”.
Lo spettro per gli investitori è che i soggetti forti dentro l’Europa e fuori impongano a un soggetto debole un saccheggio che devasta il sottostante del debito. Colpa dell’Italia che ha curato malissimo i suoi interessi convincendo i propri cittadini e auto-convincendosi che i suoi partner fossero quello che non sono e, anzi, animati da uno spirito di fratellanza e magnanimità. Colpa dell’Italia che non si è assicurata direttamente o indirettamente un minimo di indipendenza energetica e ha guardato industrie strategiche passare di mano.
La misura della convinzione dei mercati sulla forza della solidarietà europea e dell’unione in quanto tale è quello che è successo ieri allo spread e quindi prossima allo zero. Tanto più se consideriamo che in Italia si arriverà con ogni probabilità a un altro Governo tecnico presieduto dall’ennesimo garante dell’europeismo italiano.
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