In politica conta la sostanza, ma anche la forma e soprattutto tattica e strategia. Nessuno mi toglie dalla testa che Draghi avesse già deciso di programmare la sua uscita dal Governo il giorno dopo la sua mancata elezione a presidente della Repubblica e che abbia continuato più o meno “in folle” fino alla scorsa settimana, quando le dimissioni le ha date sul serio approfittando dell’ennesima crisi in casa 5 Stelle.
Dopo le tante speranze in avvio il suo Governo si stava esaurendo, così come la pazienza del leader, e quando Mattarella lo ha rinviato alle Camere, lui – grazie anche ai media che ne hanno rafforzato l’immagine del “buon leader contro i cattivi partiti” – ha giocato con abilità, ma anche da furbetto, per scaricare le colpe sugli altri e in primis quel centrodestra oggi dipinto come un’associazione di traditori.
Ho ascoltato e riascoltato il suo discorso al Senato, ma quando chiede ai partiti della sua ex maggioranza se “se la sentono a rinnovarsi” e poi non si vota un documento del centrodestra che dice esattamente quello che Draghi aveva appena chiesto, ma Draghi accetta che si voti un Odg a firma solo di un eletto del Pd come Casini, cos’è, se non un chiaro segno di voler rompere salvando la propria immagine?
Da sempre un dibattito sulla fiducia viene chiuso con un atto firmato da tutti i leader parlamentari di una maggioranza, non da uno soltanto a significare alleati di prima e seconda scelta: una provocazione, a cui il centrodestra forse non doveva abboccare, ma d’altronde non è che da quelle parti ci siano in giro fulmini di guerra per tattica e strategia.
Quindi Draghi abbattuto dal “fuoco amico” (quando invece, a voler vedere, il voto al Senato gli ha dato comunque una maggioranza, perché astenersi dal votare non è voto di astensione: il regolamento del Senato è chiaro, ma nessuno lo ha ricordato), da quei cattivi di Berlusconi & Salvini, mentre il M5s – con Conte causa prima della crisi – è sparito di scena.
Grande vittoria strategica e d’immagine per il premier, perché Draghi sa benissimo che l’Italia è in un “cul de sac”, che l’autunno sarà orribile, che i debiti contratti per il Pnrr saranno in buona parte da restituire, che non è vero che lo stesso Pnrr sia davvero “partito” bene, finendo per finanziare spese di ordinaria manutenzione e poche grandi opere.
Draghi furbetto? Certamente non è da premier – dopo una truffa da almeno 5 miliardi con il bonus 110% – sostenere che “la colpa è dei tecnici”: che cosa ha fatto il suo governo negli ultimi 5 mesi per bloccare la mega-truffa che adesso lascia in mutande milioni di imprese, condomini e cittadini italiani? Anche perché era stato proprio Draghi a scegliere dirigenti e funzionari per il Pnrr: chi allora ne è responsabile? Draghi è bravo, competente e sicuramente rappresentava il meglio sul mercato, ma è anche furbo e non c’è dubbio che politicamente negli ultimi tempi abbia strategicamente privilegiato il rapporto con Letta e il Pd, lasciando in secondo ordine gli altri alleati. D’altronde per ricucire sarebbe bastata qualche parola – in replica al Senato – su immigrazione, cittadinanza, flat-tax o qualche altro tema nel cuore di FI o della Lega: nulla.
Riflettiamo su un Governo alle prese con un periodo di emergenza, ma che negli ultimi mesi è vissuto a colpi di bonus per tutto, dallo psicoterapeuta alla benzina, senza una strategia economica o ecologica precisa: nulla di chiaro sui rigassificatori, il nucleare, né tantomeno avere il coraggio di chiedere sacrifici veri rimandando le castagne bollenti a future mani altrui.
Certamente è molto grave che l’Italia si fermi proprio adesso su temi e riforme che molto faticosamente venivano avanti, ma – pensiamoci – quelle riforme avrebbero davvero resistito all’impatto parlamentare? Draghi ha manovrato (bene) per arrivare al “dopo di me il diluvio”, soprattutto riuscendo a gettare la croce sul centrodestra che così ne esce “colpevole” agli occhi dell’opinione pubblica, esattamente come voleva il Partito democratico.
Ottima comunque la sua strategia di immagine: “pro Draghi” si sono mossi tutti, dagli scout ai sindacati, da Confindustria addirittura fino all’Azione Cattolica che – sepolto l’ex presidente Scalfaro che ne era alfiere – da 20 anni sembrava completamente scomparsa di scena.
“Draghi Santo subito”: la beatificazione è in atto, il seggio a vita al Senato lo premierà e comunque è stato capace di passare la mano al momento giusto. Anche questo è un merito, il tempismo in politica sempre è un grande valore perché tempi straordinariamente duri si avvicinano oscuri all’orizzonte.
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