L’avanzata di Matteo Renzi verso la crisi di governo sembra avere avuto un rallentamento. Il vertice dell’altra sera doveva essere decisivo ma ha partorito l’ennesimo rinvio. Ieri sera il leader di Italia viva ha convocato su Zoom i gruppi parlamentari per “parlare di situazione politica”. Giuseppe Conte ha annunciato nuove misure per sostenere “le famiglie e i lavoratori”, accompagnate da una richiesta per un nuovo scostamento di bilancio che dovrà essere approvato dal Parlamento. Inoltre, da un post sulla pagina Facebook del premier si apprende che al prossimo Consiglio dei ministri sarà portata “una nuova bozza aggiornata del Recovery plan prima di passare alla stesura di quello definitivo”. E così si ha la conferma di quanto sostiene Renzi, cioè che non gli è stato fornito il testo del piano semplicemente perché non c’è. Il governo non l’ha ancora scritto.



E quando ci sarà il testo, ci vorrà altro tempo per leggerlo, valutarlo e “dare risposte”. A Renzi il rinvio fa comodo perché gli garantisce la ribalta mediatica, nella quale appare come l’ago della bilancia del governo, il padrone del suo destino. Guadagnare tempo gli serve anche per potere spiegare meglio all’opinione pubblica quale sia il suo obiettivo, che alla gente (e non solo) è ancora oscuro. Nei retroscena politici Renzi è il mazziere che tiene il banco, ma nella testa degli italiani è ancora il giocatore di poker che preferisce avere un buon bluff piuttosto che buone carte. Tuttavia la sua strategia stavolta appare sempre meno quella del rottamatore che punta al voto anticipato (dal quale uscirebbe con le ossa rotte): Renzi piuttosto punta a logorare Conte.



Allo stesso tempo, chi viene logorato è il Pd. Quello di Zingaretti è il partito cardine del governo in carica, il garante dell’Europa e il perno della governabilità: esprime il capo dello Stato, il presidente dell’europarlamento e il commissario Ue all’Economia. Il Pd è insoddisfatto di Conte, della gestione della pandemia e del protagonismo. È costretto a difenderlo, ma se potesse cambierebbe anche domani. Il problema è che il Nazareno non sa come smarcarsi da un premier che non può permettersi di scaricare.

Nell’immobilismo collettivo, chi prende l’iniziativa conquista i riflettori, ed è stato Renzi a fare la mossa. Lui ha inventato il Conte 2 subito dopo la crisi del Conte 1 ed è ora obbligato al movimentismo per assicurarsi la visibilità che può valergli la sopravvivenza quando si andrà a votare. In Italia viva stanno bene attenti a non parlare di poltrone ma di contenuti, di riforme, di progetti: vogliono mostrarsi concreti e realisti, cercano di parlare al Paese mentre combattono una battaglia di potere all’interno del Palazzo. Renzi può alzare la voce perché sa che il voto anticipato non è un’opzione percorribile: non lo vogliono né il Pd, meno che mai i 5 Stelle, per non parlare del Quirinale. L’obiettivo dell’ex premier – e forse non solo suo – è arrivare a un governo tecnico.



A proposito del Quirinale, la successione a Mattarella resta sullo sfondo del braccio di ferro in corso. Sei anni fa fu Renzi, come segretario del Pd e presidente del Consiglio, a pilotare l’elezione di Mattarella. E adesso è ancora lì a sgomitare, come i maratoneti a New York che prima della partenza devono risalire verso la prima fila se vogliono avere qualche speranza di fare bella figura.

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