Caro direttore,
in queste ore difficili per le nostre istituzioni, prima ancora che per le sorti della legislatura, è in campo l’idea di un fronte repubblicano che affronti alcune questioni cruciali dell’immediato: una finanziaria sostenibile per i ceti più deboli e che allo stesso tempo ci tenga agganciati all’Europa, evitare lo sciagurato aumento dell’Iva, sminare il clima di divisione esasperato montato e alimentato in quest’anno. E che soprattutto, in prospettiva, metta in sicurezza le istituzioni dall’ultima spallata che sta provando a darvi il “salvinismo”, l’idea cioè di una democrazia “forte” che non si fa specie su questa o quella materia di andare oltre consuetudini e vincoli costituzionali.
Contro questo sforzo repubblicano si alzano alti lai – ora del tutto interessati, ora francamente sterili e somiglianti in alcuni casi alla prudente propensione degli italiani dello stiamo a vedere chi vince – di “inciucio” tra tizio e caio fino ad ieri su posizioni fieramente avverse, che “si fa il gioco di Salvini se lo si contrasta”, che “bisogna dare la parola agli italiani”.
Ovvio che il più acceso sostenitore della prima e della terza tesi sia il leader della Lega, che su queste “grida” scandalizzate sta mobilitando tutta la sua potente macchina comunicativa, minacciando contro l’inciucio manifesti anche su Marte e più perigliosamente la mobilitazione della piazza.
Sarebbe il caso di scendere sulla terra, e con prudenza. E ragionare pacatamente del fatto che l’ultimo a poter brandire tesi dell’inciucio tra 5 Stelle e Pd è proprio Salvini, che ha firmato e poi stracciato il più grande “inciucio” politico fin qui conosciuto, e cioè il cosiddetto “contratto di governo”. Come è del tutto evidente che chi oggi punta a fermare una pericolosa deriva sovranista, non può che, anche tatticamente, mettere da parte differenze avversioni e idiosincrasie per raggiungere questo fine strategico, politicamente più che legittimo e più ancora auspicabile per il bene comune del Paese.
Della parola da dare agli italiani dirò dopo. Spendo una parola sulla tesi che qualsiasi cosa che ostacoli Salvini, lo faccia crescere e quindi vada evitata. Quello che poteva dare questa tattica, lo ha già dato: Salvini proiettato al 40% nei sondaggi, dopo il 34% alle europee, il dimezzamento di M5s, le opposizioni al palo. Insistere sarebbe diabolico. La lettura più facile è la sindrome di Stoccolma, la più “nobile” è che bisogna impedire a Salvini di crescere nel sentimento antisistema degli italiani. Controprova contro questa tesi, è che il primo vero stop dato al leader della Lega lo ha già stemperato nei sondaggi.
E qui posso finalmente venire all’argomento “la parola agli italiani”, di cui in questo momento la Lega si sente l’interprete di maggioranza. Ma poiché la democrazia è una cosa seria, è argomento che va maneggiato con cura. Primo punto: alle europee sulla platea dei 51 milioni di aventi diritti al voto, il 34% di Salvini vale il 18% in numeri assoluti, un po’ poco per proporsi nell’infelicissima metafora di “padre” di tutti gli italiani. Siamo, più che nel lessico pericoloso dei cesarismi asiatici, nello sciagurato scenario, che infesta la politica italiana, del sindaco d’Italia, dove la minoranza maggiore ottiene un consenso che prova sempre ad usare per imporre una dittatura della maggioranza, senza neanche il minimo sindacale della maggioranza assoluta del corpo elettorale. Fermo restando il principio che un buon sistema democratico è quello in cui a dover essere tutelato è innanzi tutto chi perde.
Non è contrastando Salvini che si scolla il Paese dalle istituzioni. Il Paese, vista la partecipazione al voto, si è già scollato; e non contrastando Salvini, lo si scollerà ancora di più, perché passerà sempre più l’idea che non c’è niente da fare e tanto vale affidarsi all’uomo forte del momento.
La cosa che però mi preme notare più di tutte, sono contenuti e modi con cui Salvini ha costruito, e punta a costruire, il suo consenso. E questi contenuti e modi sono estranei alla Costituzione vigente. I superpoteri di ministro degli Interni che si è fatto dare con il decreto sicurezza che fanno aggio su quelli del premier, la discrezionalità abnorme richiesta e ottenuta nel medesimo decreto nella gestione di crisi umanitarie e dello stesso ordine pubblico, la richiesta di un’autonomia regionale fondamentalmente secessionista, la richiesta inusitata di “pieni poteri”, che la Costituzione non riconosce neanche in caso di guerra, sono fuori nei modi e nella sostanza dal quadro costituzionale, e Salvini, se ritiene, il consenso degli italiani su questa roba qui non lo può chiedere surrettiziamente in un’elezione ordinaria, ma in un’assemblea costituente che disegni la forma politica della democratura che ha in mente, e poi la porti anche al plebiscito.
La parola agli italiani va sempre data, ma facendogli capire che cosa stanno dicendo mentre la pronunciano. Poi ognuno si assume, anche per le generazioni a venire, le proprie responsabilità. Così stando le cose, è un imperativo repubblicano che chi è in Parlamento difenda la repubblica nelle cui istituzioni è stato eletto. Chi ne vuole una diversa non la può chiedere con una crisi di governo. Di agosto.