Il Governo che nascerà dopo le elezioni del 25 settembre avrà una situazione economica non facile da affrontare. Il Centro Studi di Confindustria, alla fine della scorsa settimana, ha infatti evidenziato che il persistere degli alti costi energetici può portare a una minor crescita del Pil fino al 3,2% nel biennio 2022-23 e a 582mila occupati in meno. Secondo Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, «dobbiamo anzitutto capire come andrà il Pil nel terzo trimestre. Evidentemente sarà il risultato di una serie di forze contrapposte».
Quali?
Da una parte, abbiamo ormai anche in Italia un calo della produzione industriale, una flessione rispetto ai massimi precedentemente raggiunti. Dall’altra, il settore delle costruzioni continua a crescere, seppur rallentando, e vi è stata anche un’ottima estate per il turismo e il commercio. Complessivamente si può immaginare che il Pil del terzo trimestre potrà essere stazionario o forse addirittura in leggera crescita.
È difficile però che l’ultimo trimestre possa seguire la stessa dinamica.
Sì, è difficile valutare quale potrà essere l’impatto occupazionale e sulla tenuta delle imprese di un contesto ancora poco chiaro: al di là di tutte le previsioni e gli scenari, bisognerà vedere quello che effettivamente avverrà in termini di carenza di gas e di impatto di eventuali misure per il contenimento dei suoi consumi. C’è anche da dire che non ci saranno difficoltà solo per le grandi aziende energivore, ma anche per quelle piccole attività dei servizi in cui il costo dell’energia è fortemente impattante. È probabile che prima o poi a livello europeo qualche misura di intervento a sostegno di queste imprese verrà preso. Tra le ipotesi c’è anche quella di fissare un tetto ai costi dell’energia.
La settimana scorsa Ursula von der Leyen ha abbozzato una strategia europea per far fronte alla crisi energetica. Cosa ne pensa?
L’iniziativa europea è ancora confusa, anche perché ci sono troppi contrasti tra i Paesi, non ci sono emergenze percepite nella stessa maniera. Non bisogna, tuttavia, farsi illusioni. Per esempio, la Francia ha sì il nucleare, ma rischia di dover fermare alcune centrali per manutenzione. Quindi, o lascia salire il costo delle bollette oppure lo Stato deve continuare ad assorbire i rincari facendo salire il debito pubblico verso il 130% del Pil nei prossimi due anni. Per questo ritengo che prima o poi una soluzione europea verrà trovata, anche per quanto riguarda il sostegno all’occupazione dei settori più colpiti dal caro energia, tramite uno strumento come il fondo Sure approvato dopo lo scoppio della pandemia.
A livello nazionale cosa andrebbe invece fatto?
Partiamo dagli approvvigionamenti di gas. Nel nostro Paese sono anni che non si fanno investimenti nelle infrastrutture: gli ultimi hanno riguardato il Tap e il rigassificatore Adricatic LNG posizionato a largo delle coste di Rovigo ed entrambi hanno incontrato ostacoli enormi sia Nimby che autorizzativi. Questo tipo di approccio deve essere evidentemente messo da parte per sempre, soprattutto perché abbiamo urgente necessità di avere altri due se non tre rigassificatori in funzione. È vero, infatti, che siamo riusciti a raggiungere un buon livello negli stoccaggi, ma una volta superato l’inverno avremo di nuovo la necessità di ricostituire le scorte, oltre che dover assicurare una continuità nelle forniture. Questo sarà un tema importante da affrontare per il nuovo Governo, che non dovrà trascurare un aspetto importante.
A che cosa si riferisce?
Al fatto che sul fronte LNG l’importazione andrebbe effettuata tramite operatori che utilizzano contratti a lungo termine, altrimenti potremmo incontrare rischi non indifferenti dal punto di vista del costo del gas importato. È poi auspicabile che il nuovo Esecutivo adotti un piano energetico a 20 anni per affrontare la transizione ecologica, perché è inutile farsi illusioni: dato che produciamo quasi metà dell’energia elettrica con il gas, non potremo fare a meno di questo combustibile fossile almeno fino al 2040. Dobbiamo quindi studiare il modo per farlo arrivare in Italia senza più dipendere da Mosca: non solo tramite rigassificatori, ma anche con il gasdotto EastMed-Poseidon che potrebbe far arrivare in Puglia gas da Israele, un fornitore sicuramente più affidabile non solo della Russia, ma anche della Libia e dell’Algeria.
Nel frattempo, in attesa delle iniziative europee, l’Italia dovrà anche cercare di sostenere famiglie e imprese alle prese con i rincari energetici…
Sì e nell’arco dei prossimi mesi quello che mi preoccupa maggiormente è proprio la possibilità di portare avanti quelle misure che nel nostro Pese, senza scostamenti di bilancio, hanno consentito di mitigare l’impatto dei rincari, dal taglio delle accise sui carburanti fino al bonus da 200 euro per i lavoratori, senza dimenticare che da quest’anno le famiglie degli autonomi hanno potuto godere dell’assegno unico, mentre in precedenza non avevano né assegni familiari, né detrazioni fiscali per i figli. Mi chiedo, quindi, se, in caso l’inflazione non scendesse, si potranno portare avanti queste misure senza scostamenti, visto che abbiamo un debito pubblico sopra il 150% del Pil. Mi auguro che il nuovo Governo abbia una credibilità e un’autorevolezza tali da poter gestire un po’ di “tentennamento” sulla riduzione del rapporto debito/Pil senza che questo porti a fibrillazioni sullo spread. A livello italiano, c’è poi un ultimo aspetto da non dimenticare.
Quale?
Abbiamo un Pnrr che rappresenta un asset importante per la crescita della domanda interna, ma occorre vedere quanto l’inflazione inciderà sulla realizzazione stessa del Piano. Economisti autorevoli, come Quadrio Curzio, hanno evidenziato la necessità di prospettare all’Europa un prolungamento di alcune scadenze previste, vista la situazione economica dell’Ue nel suo complesso.
(Lorenzo Torrisi)
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