L’accordo raggiunto nei giorni scorsi sul price cap per il gas rappresenta sicuramente un buon risultato in questo lungo e complesso percorso legato alla crisi energetica esplosa in particolare dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Naturalmente come tutti gli accordi è un compromesso, che ha soddisfatto qualche Paese e lasciato perplessità in altri. Però il fatto che vi sia stato il solo voto contrario dell’Ungheria e l’astensione dell’Austria e dei Paesi Bassi sta a indicare che vi era un’ampia maggioranza a favore.
Il meccanismo tecnico non è semplice e, a seconda di alcuni commentatori, non sarà facile che scatti, in quanto ci devono esser alcune condizioni concomitanti che finora sembra non siano mai accadute; inoltre, l’attuale prezzo è molto più basso del limite definito a 180 euro a megawattora.
L’Italia indubbiamente è stata, sin dai tempi del Governo Draghi, il principale promotore di questa misura, che rappresenta comunque un segnale ai potenziali speculatori, segnando anche un limite per il costo delle forniture da parte della Russia, colpevole dell’invasione dell’Ucraina.
Le forniture rimangono la questione centrale per il futuro. Gli obiettivi per cui occorre lavorare sono quello della garanzia delle forniture, insieme alla differenziazione dei fornitori. In sostanza si tratta di passare dal quasi monopolio russo delle forniture di gas a una rete di fornitori, che eviti all’Italia e al nostro sistema produttivo di essere sottoposti a ricatti di vario genere, legati a equilibri politici ormai mutevoli in ogni parte del mondo. Questo è un processo che non si realizza in pochi mesi e che ha bisogno di forti investimenti, anche strutturali.
Se da un lato occorre stabilizzare le forniture, dall’altro occorre anche procedere speditamente nell’installazione/revamping/ammodernamento di impianti di energia rinnovabile, sfruttandone tutte le possibili modalità, dal solare all’eolico, dal geotermico all’idroelettrico, finanche a continuare ricerche e sviluppare prototipi per le energie del moto ondoso e/o altre. Non meno importante è la via del risparmio e dell’efficienza energetica, che è trasversale al mondo produttivo e deve coinvolgere tutti i cittadini. L’Italia in questo senso è sempre stata all’avanguardia, ma sappiamo che questa via è un processo continuo di miglioramento che va sempre stimolato.
La stessa Unione europea ha messo al centro delle proprie iniziative la cosiddetta autonomia strategica, che partendo dalla crisi energetica pone l’accento sulle numerose necessità che hanno i diversi Paesi dell’Unione per rendersi indipendenti o almeno garantiti rispetto alle forniture di materie prime e di energia di cui l’Europa nel suo complesso ha bisogno ora e nel futuro, specialmente se vuole accelerare la sua transizione ecologica.
In sostanza occorre definire prima possibile un quadro di stabilità e continuità in relazione alle forniture di energia e di materie prime per gli anni a venire che garantisca il sistema produttivo di tutta l’Europa. La questione del gas è stata forse il primo ed evidente fenomeno, effetto non solo della guerra in Ucraina ma anche della forte instabilità politica ed economica che ormai coinvolge il pianeta da almeno un decennio e che è stata accelerata dalla pandemia.
C’è bisogno di definire una nuova visione degli equilibri mondiali, dopo un trentennio di globalizzazione che li ha in molti casi stravolti. L’energia e le materie prime sono come sempre al centro degli interessi dei Paesi industriali e non solo, perché la crescita di numerose economie da più parti del mondo fa sì che siano molte più di prima le nazioni in cerca di risorse naturali.
In questo percorso va tenuta però presente la grave crisi ecologica che tutto il pianeta sta vivendo, quindi la semplice rincorsa alle risorse naturali deve essere riletta mettendo al centro la necessità di una profonda ed equa redistribuzione della ricchezza, un diverso modello di sviluppo, altrimenti la crisi non avrà mai fine.
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