Se per il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, “abbiamo messo in sicurezza il Paese, dovremmo fare una stagione invernale tranquilla”, i prezzi del gas, e conseguentemente dell’energia, preoccupano non poco il mondo imprenditoriale. “L’incidenza dei costi energetici nei bilanci imprese italiane passerà dal 5% al 10%. Sono livelli insostenibili”, ha detto infatti Carlo Bonomi. Secondo il Presidente di Confindustria, “per frenare i prezzi dell’energia servono 40-50 miliardi di euro. E se l’Europa non fa l’Europa allora tocca all’Italia”. E se per il CSC l’Italia l’anno prossimo rischia la crescita zero, il Fondo monetario internazionale ha tagliato le stime di crescita del nostro Paese per il 2023 al -0,2%.
Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, oltre a ricordare quanto siano state in passato fallaci le previsioni del Fmi (ad aprile parlavano di un +2,3%, quando la crescita acquisita dopo il secondo trimestre è salita al +3,6%), evidenzia che «il quadro è in effetti molto complicato, anche perché la riflessione sulle azioni da intraprendere a livello europeo è ancora molto fluido. L’Italia ha già speso molto per le bollette, probabilmente dovrà intervenire ancora, ma non guardando solo all’emergenza di breve termine».
Gli attuali costi dell’energia, però, rischiano di essere insostenibili per molte imprese.
Certamente. L’Italia negli ultimi sei trimestri (dal quarto del 2020 al secondo del 2022) è cresciuta del 7,9%, il dato più alto tra i Paesi del G7 dopo quello del Regno Unito (+9,9%), ma superiore a quello di Francia (+5,3%), Stati Uniti (+5,1%), Canada (+4,9%), Germania (+2,1%), Giappone (+1,5%) e persino della Cina (+2,2%). Abbiamo recuperato i livelli pre-Covid e siamo sopra dell’1,3%. La crescita acquisita per il 2022 è stata portata dall’Istat al +3,6%. La produzione industriale ad agosto è aumentata del 2,3% rispetto a luglio e del 2,9% su base annua, l’edilizia continua ad andare bene, il turismo ha avuto un’estate da record, quindi il Pil del terzo trimestre potrebbe essere ancora con il segno più. Insomma, non bisogna buttare via questo 2022 molto positivo per l’economia. Tuttavia, anche se dessimo fondo quest’anno alle casse pubbliche per intervenire sulle bollette, evitando il fermo dell’industria, la caduta del Pil e i problemi sociali che si avrebbero per i ceti meno abbienti, non potremmo non guardare poi anche all’anno prossimo.
Da che punto di vista?
È un dato di fatto che non c’è solo il problema di superare l’inverno 2022-23, ma che, come evidenziato anche da Claudio Descalzi, quello successivo sarà persino peggiore se non si provvede subito a investire in infrastrutture energetiche, cosa che in Italia da troppo tempo non si fa. Non c’è mai stata una strategia nazionale per la sicurezza energetica, per la diversificazione degli approvvigionamenti di gas, pur nella consapevolezza che il nostro Paese utilizza questa materia prima per la produzione di energia elettrica come nessun altro in Europa, dove c’è chi può contare su nucleare, lignite e carbone. Occorre, quindi, che il nuovo Governo affronti con consapevolezza e autorevolezza questo tema così da costruire un futuro di maggiore sicurezza e stabilità per il nostro sistema energetico.
Come si potrebbe raggiungere questo obiettivo?
Anzitutto andrebbe data priorità assoluta alla finalizzazione dei progetti relativi ai rigassificatori di Piombino e Ravenna, essenziali per non trovarci senza gas nei prossimi anni. Occorrerebbe anche accelerare il rilascio delle autorizzazioni per gli impianti di rinnovabili. Inoltre, c’è un progetto che, a mio avviso, l’Italia dovrebbe portare avanti con determinazione: quello del gasdotto EastMed-Poseidon che potrebbe far arrivare in Italia gas da un fornitore affidabile come Israele. Andrebbero pertanto sciolti i nodi internazionali che rallentano quest’opera. Infine, si dovrebbe guardare ancora più in là per capire se la strada dell’idrogeno sia percorribile e possa essere un sostituto del gas, da affiancare alle rinnovabili che hanno un problema di produzione irregolare e difficoltà nell’accumulo, o se il nucleare di ultima generazione sia sicuro.
Torniamo agli interventi di brevissimo termine. Se l’Europa non sarà capace di trovare una soluzione comune sulla mitigazione degli effetti della crisi energetica, l’Italia dovrà fare da sola anche a costo di aumentare il deficit?
È una strada da imboccare come scelta di unità nazionale, nella piena consapevolezza che 50 miliardi in deficit, in una situazione in cui la crescita nel 2023 non arriverà all’1%, determinerà un aumento del rapporto debito/Pil. Per questa ragione si tratta di un passo di cui tutti devono essere responsabili. Al di là dell’origine delle risorse, credo che bisognerebbe mettere in campo interventi selettivi, senza trascurare i settori equiparabili a quelli energivori. La filiera agroalimentare, per esempio, non è considerata energivora, ma lo è fortemente in realtà e influenza a valle i prezzi di beni che incidono non poco sull’inflazione. Bisognerà poi nel frattempo vedere cosa farà l’Europa.
Lei è fiducioso che si possa arrivare a una decisione comune ed efficace?
Me lo auguro, perché se l’Europa intervenisse con una qualche misura concertata sarebbe importante sia come segnale unitario, sia perché eviterebbe ai Paesi di dover intervenire con sacrifici in taluni casi eccessivi sul fronte dei conti pubblici. Non va dimenticato che la domanda aggregata europea è la principale risorsa che l’Ue ha a disposizione. Sappiamo, infatti, che i consumi rappresentano più del 60% del Pil nei Paesi avanzati. Per questo motivo i cittadini europei devono essere messi nelle condizioni di continuare a creare domanda. Se la Germania pensa di poter essere “autonoma” su questo fronte sbaglia di grosso. Io penso che se si andasse, come si è anche ipotizzato, verso l’emissione di bond a lunga scadenza, si entrerebbe nella stessa logica vincente di Sure.
(Lorenzo Torrisi)
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