Anche ieri il comparto delle “utility” italiane ha fatto peggio del listino dopo mesi di performance deludenti. La questione, in una fase normale, potrebbe rimanere confinata al dibattito degli esperti che a vario titolo si occupano di mercati. Invece oggi il settore è al centro di interessi molteplici sia per l’impatto che i rincari delle utenze hanno su famiglie e imprese, sia perché le utility erano considerati uno dei motori, se non il motore principale, degli investimenti in rinnovabili e in generale in fonti di produzione di elettricità. Dopo l’invasione della Russia, l’Italia e buona parte d’Europa sono impegnate a sostituire il principale fornitore di gas dell’Unione e a diversificare le fonti di produzione di elettricità. Gli investimenti che danno sostanza a queste ambizioni sono in larga parte privati.
Il mercato non crede, visto l’andamento delle quotazioni, che le utility stiano facendo extraprofitti, anzi pensa che ne faranno di meno oppure che i rischi siano aumentati esponenzialmente. È una convinzione che negli scorsi mesi si è rafforzata. Sono società, fino all’altro ieri considerate a basso rischio, con livelli di leva importante. Sono strette da un regolatore che dall’inizio del 2022 ha cambiato le regole delle tasse sugli extraprofitti in continuazione e che preme sulle società per comprimere il più possibile qualsiasi rialzo delle bollette anche imponendo vincoli impossibili da rispettare come quello di confermare i prezzi dell’elettricità dei contratti fissi in scadenza. Vengono imposti tetti ai prezzi delle rinnovabili, discussi in continuazione, che creano precedenti pericolosi. Con la fine dell’inverno ancora lontano ci si chiede quante saranno le bollette non pagate. Infine, occorre gestire la volatilità e l’esplosione dei prezzi del gas.
Il risultato non è una maggiore propensione a investire, come sarebbe interesse del sistema, ma l’esatto opposto. Chi può smette di investire in Italia per investire altrove, chi non ha una presenza estera può solo ridurre i piani di investimento come sembra già accadere. Il sistema invece dovrebbe creare le condizioni, tanto più in una fase complicata di tassi di interesse in rialzo e volatilità, per incentivare a investire o per consentire a società oggi alle prese con diverse sfide di confermare il più possibile i piani di investimento.
Il rischio è che nel tentativo di aumentare le entrate per il bilancio statale o in quello di schermare i consumatori, spesso ignari, dai rincari poi ci si trovi inspiegabilmente con investimenti molto inferiori alle attese. L’alternativa, come già accaduto sia in Germania che in Francia, è la nazionalizzazione di ampie parti del settore; in questo caso è meglio prepararsi per tempo piuttosto che dover affrontare l’emergenza.
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