Anche il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi, come diversi esponenti politici in campagna elettorale, è tornato a invocare un tetto al prezzo del gas. La Commissione europea, però, nel piano che ha messo a punto ieri, incentrato sulla riduzione dei consumi di elettricità, e che verrà discusso in un prossimo Consiglio straordinario sull’energia convocato per il 30 settembre, non ha potuto inserire questa misura su cui non c’è ancora il necessario consenso tra i Paesi membri.
Al di là di quelli che sono i diversi interessi dei singoli Stati, secondo Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli, quella sul price cap è una proposta che «prima dell’estate poteva forse avere un senso, oggi decisamente no. E potrebbe anche determinare più danni che benefici».
Perché?
Se fosse applicato alla sola Russia, rappresenterebbe di fatto un tetto su una quota ormai marginale degli approvvigionamenti europei, quindi non sarebbe una misura in grado di incidere in maniera significativa sui costi energetici, oltre che costituire un incentivo per Mosca a sospendere del tutto le forniture verso l’Europa. Se il price cap venisse, invece, applicato a tutte le forniture extra-europee, si potrebbero mettere a rischio gli accordi da poco raggiunti con i Paesi del Nord Africa.
Come quelli siglati con l’Algeria?
Esattamente. È difficile che un Paese produttore voglia rinunciare a vendere a un prezzo di mercato che sarebbe verosimilmente più alto del price cap europeo. A quel punto sarebbe spinto a trovare un compratore disposto a pagare il gas più dei Paesi Ue. Paradossalmente, quindi, imponendo un prezzo si rischierebbe di vanificare la strategia finora perseguita per cercare di affrancarsi dalle forniture russe. Infine, fatto non secondario, visti gli attuali prezzi del gas c’è da dubitare che un tetto fissato oggi possa davvero portare sollievo a famiglie e imprese alle prese con bollette energetiche insostenibili.
Perché allora in Italia si continua a insistere sul tetto al prezzo del gas?
Sembra sia un’argomentazione politica che in questo momento fa comodo a tanti. Tra quanti lo invocano, però, nessuno spiega come dovrebbe funzionare e quali conseguenze concrete ci sarebbero per le bollette di famiglie e imprese.
L’Europa sembra puntare ora alla riduzione obbligatoria dei consumi. Cosa ne pensa?
Al di là della considerazione che dato che vi sono di fatto 27 diverse politiche energetiche è difficile pensare a un’unica strategia comune e valida per tutti i Paesi membri, c’è, a mio avviso, un aspetto importante da sottolineare a proposito dei piani di razionamento e di riduzione dei consumi.
Quale?
È difficile comprendere come mai l’Italia si sia già mossa nelle scorse settimane con grande anticipo rispetto a questa iniziativa europea, che oltretutto riguarda l’elettricità e non il gas. Non siamo forse arrivati ormai all’obiettivo prefissato riguardo gli stoccaggi? Non siamo forse il Paese che si è mosso per primo per siglare accordi con i Paesi produttori in modo da avere un’alternativa alla Russia? Se abbiamo tutto questo gas, perché, allora, dobbiamo predisporre un piano di razionamento? Qualcosa non torna.
Vuol dire allora che gli accordi sulle forniture di gas alternativo a quello russo non sono così sicuri come sembra?
Il timore è proprio che non tutti gli accordi siglati avranno effetti immediati, ma che resteranno per un po’ sulla carta, dispiegandosi non prima della fine dell’inverno. Se, oltretutto, venisse imposto un price cap su queste forniture extraeuropee si metterebbero a rischio anche gli investimenti necessari, come nel caso dell’Algeria, ad ampliare i flussi diretti verso l’Italia e l’Ue.
L’Ue pensa anche a un “prelievo solidale” sugli extraprofitti delle aziende dei settori del petrolio, del gas, del carbone e delle raffinerie. Cosa ne pensa?
Il rischio, in questo caso, è la fuga di grandi azionisti, tra cui i fondi pensione, che potrebbero decidere di investire in altre compagnie, degli stessi comparti, con fiscalità e sede in Paesi extra-Ue. Oltretutto stiamo parlando di aziende che hanno attraversato un momento tutt’altro che facile negli anni recenti.
E ora ci sono utilities che rischiano il default…
E non si vedono aiuti a livello europeo, né tantomeno italiano. Va anche ricordato che ci sono molto aziende del settore energetico che per effettuare operazioni di copertura sui mercati finanziari hanno bisogno di tanta liquidità, la quale è messa a rischio anche dai mancati incassi per bollette non pagate. Considerando il loro importo, le morosità rappresentano un problema crescente. Se poi si vogliono tagliare i consumi di gas ed elettricità, anche questo rappresenta un danno per le imprese energetiche. A livello europeo non si parla nemmeno di aiuti alle aziende energivore.
Il ministro della Transizione ecologica Cingolani ha annunciato un decreto per aumentare l’estrazione di gas nazionale nei giacimenti esistenti, a eccezione dell’alto Adriatico, destinando questa produzione aggiuntiva, a prezzo calmierato, alle aziende con elevati consumi di energia.
Stiamo parlando di infrastrutture con una certa età, da cui non si può riuscire a ricavare molto gas in più rispetto alla situazione attuale. Se si volesse fare veramente qualcosa sul fronte della produzione nazionale, anche nell’ottica di un prezzo inferiore rispetto a quello dei mercati internazionali, bisognerebbe mettere mano al PiTESAI per rendere possibili nuove trivellazioni e perforazioni, cosa che ci renderebbe oltretutto più indipendenti dalle forniture dall’estero.
A inizio settimana lei ha dichiarato che “se il Governo non salva le famiglie e le aziende rischiamo in poche settimane un forte default”. Come si possono trovare le risorse necessarie senza uno scostamento di bilancio?
Le risorse per le armi da inviare all’Ucraina sono state trovate. Sicuramente per le famiglie e le imprese italiane si potranno individuare anche con maggiore entusiasmo.
Che tipo di intervento sarebbe necessario per aiutare famiglie e imprese?
È illusorio pensare a qualcosa di simile a quanto messo in campo dopo lo scoppio della pandemia, con agevolazioni sul credito bancario, anche a fondo perduto: c’è il rischio di arrivare troppo tardi. Ci vorrebbe un price cap applicato alle bollette di famiglie e imprese.
Cosa intende dire?
Che famiglie e imprese dovrebbero sopportare gli aumenti delle bollette solo fino a una certa soglia rispetto allo scorso anno, possiamo anche immaginare che sia del 15-20%, mentre il resto dovrebbe essere coperto dallo Stato. Si tratterebbe di fatto di seguire le orme di Francia e Regno Unito per fare in modo che non ci siano degli incrementi insostenibili dei costi energetici che bloccherebbero il tessuto produttivo, generando a cascata la perdita di un numero rilevante di posti di lavoro.
(Lorenzo Torrisi)
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