La Banca centrale cinese ha tagliato i tassi di interesse a un anno dello 0,1%, lasciando invece invariati quelli a cinque anni, deludendo così le attese di diversi investitori che si aspettavano una risposta “più forte” alla crisi del comparto immobiliare di cui la richiesta di ristrutturazione del debito presentata da Evergrande a New York sembra rappresentare la punta di un grosso iceberg, tanto che si parla di una possibile nuova Lehman Brothers.



Come spiega Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, «l’andamento dei mercati in questa settimana sarà di per sé una notizia. Si tratterà di vedere poi cosa effettivamente i cinesi faranno sul fronte interno, perché sembra stia crollando un intero sistema: il settore immobiliare rappresenta forse il pilastro principale dello sviluppo cinese. Al momento non possiamo far altro che guardare».



Ma a livello finanziario è possibile un contagio globale come avvenne con la crisi di Lehman Brothers?

È difficile rispondere. La richiesta di ristrutturazione del debito presentata negli Stati Uniti da Evergrande lascia pensare che la proprietà di questo debito sia diffusa sui mercati internazionali. Non credo che attualmente qualcuno sappia quanto realmente lo sia. Non sono emersi nomi di singole società particolarmente esposte sulla Cina, ma è probabile che ci sia una sia pur minima componente cinese in buona parte dei prodotti finanziari globali. L’incertezza di certo non aiuta e favorisce l’uscita dagli investimenti, ma penso si possa dire che le conseguenze finanziare sono inferiori a quelle macroeconomiche.



A che cosa si riferisce?

La Cina presenta già delle debolezze strutturali. La principale è che la popolazione comincia a diminuire, complice anche la politica del figlio unico perseguita per decenni, e questo comporta un minor futuro potenziale di crescita. Nel frattempo, ci sono giovani che hanno studiato tanto e non riescono a trovare un’occupazione in linea con le competenze acquisite. In risposta, dal Presidente Xi Jinping a fine maggio è arrivato l’invito a questi giovani a imparare a “mangiare l’amarezza”. Questo può creare problemi di consenso verso il partito nelle nuove generazioni. Le conseguenze di una crisi immobiliare su un quadro di questo tipo non sono gradevoli né per loro, né per noi.

Perché anche per noi?

Perché la Cina da tempo rappresenta un buon mercato per molti prodotti europei, ma ora rischia di esserlo meno. Inoltre, le importazioni da Pechino dovrebbero ridursi sia perché l’Ue conta di trasferire all’interno dell’Ue per quanto possibile tutte le produzioni di base, sia perché sta per entrare in vigore il Carbon border adjustment mechanism, un’imposta che colpirà anche le importazioni da un Paese inquinante come la Cina.

L’Ue non può, però, fare a meno della Cina per le materie prime che le servono per la transizione energetica…

Ci sono dei segnali relativi al crescente interesse dei Governi per le miniere presenti nel territorio dell’Ue, Italia compresa. Nel frattempo credo che Bruxelles miri a uno “scollegamento” con la Cina su queste materie prime molto graduale e possibilmente amministrato da noi. Dovremo, quindi, cercare di avere sempre delle riserve sufficienti e cercare anche altri Paesi fornitori. Certamente le difficoltà attuali cinesi aiutano l’Ue a negoziare meglio in questo ambito. In ogni caso il rallentamento della Cina non ha ovviamente effetti positivi sul resto dell’economia globale. E indebolisce fortemente i piani di Pechino a livello mondiale.

Quali in particolare?

Ricordiamoci che l’annuncio di Evergrande è arrivato a poche settimane dal G20 che si terrà in India e che la posizione cinese da tempo è quella di creare una moneta di riferimento per i Paesi del cosiddetto Sud del mondo. Credo che questa politica venga messa in fortissima discussione dalle difficoltà che sta vivendo il gigante asiatico.

Prima del G20 di settembre, questa settimana ci sarà il vertice dei Brics a Durban, dove si ipotizzava sarebbe arrivata una spinta alla dedollarizzazione dei pagamenti internazionali. Anche questo progetto subirà un rallentamento?

Assolutamente sì. Sarebbe anche da annotare il fatto che la banca centrale russa ha alzato i tassi di interesse proprio poco prima dell’annuncio della richiesta di ristrutturazione del debito di Evergrande. È una coincidenza che mi fa pensare, perché la Russia deve ridurre i propri consumi interni per continuare a produrre le armi di cui ha bisogno, quindi potrebbe aver cercato di prevenire una fortissima inflazione interna. Sappiamo anche che i cinesi sono i principali acquirenti di petrolio russo, ma se non lo potessero più pagare? A quel punto basteranno misure di riduzione della domanda interna oppure ci saranno altre pressioni negative su Mosca?

A questo punto anche l’adesione ai Brics diventerà meno “attraente” per alcuni Paesi, tra cui importanti produttori di idrocarburi, come Venezuela Algeria, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Iran, vicini a entrarvi?

Sì, diciamo che quanto meno questi Paesi potrebbero decidere di attendere gli sviluppi. Gli americani si sono un po’ ritirati anche dal Medio Oriente e i Paesi del Golfo hanno intrapreso politiche di altro tipo, anche attraverso il calcio o investimenti importanti in scienze mediche. Se la Cina non dovesse comprare più tanto petrolio, per via di un progressivo rallentamento dell’economia, anche loro ne sarebbero colpiti.

(Lorenzo Torrisi)

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