Oggi il Parlamento francese voterà la sfiducia al Governo “Barnier”. Dopo la decisione del Primo ministro di usare una norma costituzionale per approvare la “finanziaria” senza un voto parlamentare, all’opposizione spetta il diritto di votare una mozione di sfiducia. Le dichiarazioni politiche delle ultime ore danno come probabile il voto favorevole alla sfiducia da parte della sinistra e del partito di Le Pen; i voti dovrebbero bastare per chiudere l’esperienza del Governo Barnier dopo meno di tre mesi dal suo insediamento. Al fondo della questione c’è la correzione del deficit francese che impone tagli e tasse.
Secondo le ultime previsioni economiche della Commissione europea, la Francia chiuderà il 2024 con il secondo deficit più alto d’Europa, secondo solo alla Romania. Il deficit di Parigi per il 2024 è previsto al 6,2% contro una media europea del 3,1%; il quadro non cambia né per il 2025 (5,3% contro una media del 3,0%), né per il 2026 (5,4% contro una media del 2,9%). Queste, tra l’altro, sono previsioni che includono il rispetto degli impegni presi dal Governo su cui a questo punto è lecito dubitare.
Gli investitori in questi mesi si sono portati avanti. Lo spread Francia-Germania è ai massimi dal 2012. Ancora più significativo è lo spread tra Francia e Italia che è ai minimi dalla primavera 2008. Sono quasi diciassette anni che gli investitori non consideravano la Francia così simile all’Italia o l’Italia così poco più rischiosa di Parigi. L’Italia oggi avrà i prezzi dell’elettricità del 25% più alti di quelli di dodici mesi fa e sostanzialmente ai massimi dal dicembre 2022. Anche la Germania paga una crisi industriale che sembra senza fine dopo l’esplosione dei costi energetici. A parità di condizioni finanziarie i mercati avrebbero premiato la Francia, che ha il nucleare, di fronte al disastro dei mercati energetici delle altre due principali economie europee. Questo invece non avviene e ciò significa che la preoccupazione per i conti francesi è persino maggiore di quanto non appaia dall’evoluzione degli “spread”.
La Germania ha un debito su Pil basso mentre l’Italia sta facendo i compiti a casa dimostrando, ancora una volta, che gli italiani possono sostenere manovre finanziarie “al risparmio”. Lo stesso non si può dire per la Francia. Qualsiasi tentativo di raddrizzare i conti pubblici francesi ha prodotto caos sociale o politico. Non si comprende quale possa essere il Governo in grado di imporre questa correzione sia nel breve che nel medio periodo. Nuove elezioni non sono possibili fino all’estate 2025 e nessuno può eventualmente escludere che le forze più ostili all’austerity non escano rafforzate da una nuova tornata elettorale.
In questo contesto in Europa si discute di debito comune per rilanciare la crescita. Si dice che non ci sono alternative a una strategia unica in Europa e che questa non possa avvenire senza espandere i deficit. Si tratta però di capire chi debba mettere le finanze e per fare cosa. Non è chiaro quale forma possa prendere un progetto di rilancio europeo “green”, perché le ultime indicazioni segnalano un grande ripensamento; risolvere i problemi energetici dell’Europa richiede una generazione. Nel mentre bisogna, come suggeriva lo stesso Rapporto Draghi, anche tenere conto delle esigenze sociali. Dal punto di vista tedesco impegnare, per sempre, lo spazio fiscale per rilanciare l’Europa con una sfida enorme è complicato da accettare. Quello che sta accadendo in Francia non aiuta a prendere queste decisioni; i ripensamenti che potrebbe avere la Commissione europea, pensiamo all’elettrico, su obiettivi che venivano dichiarati immodificabili non segnalano una leadership europea particolarmente illuminata. Con queste condizioni politiche il rischio è che questa operazione a debito si trasformi solo in un costosissimo calcio al barattolo.
La crisi italiana nel 2011 ha messo alle corde l’euro. Oggi avanza la crisi francese, ma è cambiato tutto non solo perché i francesi non sono tanto malleabili quanto gli italiani. Allora, nel 2012, si potevano abbassare i tassi e indebolire l’euro senza timori sull’inflazione, eravamo in piena deflazione da globalizzazione, e senza doversi preoccupare di far arrabbiare gli Stati Uniti. Oggi questa operazione, salvare tutto schiacciando i tassi, non è più possibile perché l’America non accetterebbe un euro debole e perché lo scenario di fondo è inflattivo sia per le politiche fiscali americane, sia per la rottura delle catene di fornitura.
Oggi non c’è bisogno di più Europa ma di meno Europa e, ancora di più, non c’è bisogno di più green ma di più buon senso e di meno guerra. Nelle condizioni energetiche e geopolitiche attuali l’Europa non ha flessibilità e il costo del salvataggio è insostenibile per tutti; anche per la Germania.
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