La Volkswagen, la più grande casa automobilistica europea e una delle più grandi del mondo, ha annunciato nei giorni scorsi un drastico piano di riduzione di costi, che prevede la chiusura di tre stabilimenti e il conseguente licenziamento di decine di migliaia di lavoratori. Il vero orgoglio dell’industria tedesca ha alzato bandiera bianca di fronte alle follie green dell’Ue.
Ma questa è solo la punta dell’iceberg per quanto riguarda la Germania, che da locomotiva d’Europa si sta trasformando in zavorra. Le colpe sono molteplici e non possono certo essere solo addebitate all’attuale Governo (peraltro disastroso), ma vanno ricercate nella politica tedesca degli ultimi vent’anni, e per fare ciò bisogna rievocare il lungo Cancellierato di Angela Merkel, che per anni è stata considerata la più autorevole guida dell’Europa. E occorre anche per forza di cose, alla luce di tutto ciò, mettere sul banco degli accusati la folle politica di austerità voluta (se non imposta) proprio dalla Merkel ai Paesi europei. La conseguenza è che sono state limitate le spese per investimenti e crescita, tenute a bada dalle stringenti regole di bilancio volute dalla Cancelliera e imposte a tutta Europa.
Si potrebbe dire che la Germania è causa del suo mal, ma purtroppo a piangere potrebbe non essere solo lei. È chiaro, infatti, che se rallenta l’economia tedesca di riflesso moltissimi Paesi europei, Italia in testa, non possono non pagarne le conseguenze. Certo, si dirà, nessuno poteva prevedere la guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente, così come non si poteva prevedere la terribile pandemia di Covid. Ma anche in questo caso gli errori della Merkel e di conseguenza anche quelli dell’Europa, che pedissequamente ha continuato a seguire le indicazioni di quella che era diventata una sorta di suo plenipotenziario, hanno certamente peggiorato la situazione.
La politica estera della Merkel (che inevitabilmente è diventata quella dell’Europa, dal momento che una comunitaria manca) ha puntato sulla Cina per la parte commerciale e sulla Russia per l’approvvigionamento energetico. Un errore strategico che alla lunga si è riflesso sulle difficoltà dell’industria tedesca a reggere il peso di sanzioni e dazi imposti ai due Paesi. Ma gli errori più gravi forse sono stati quelli commessi sul fronte interno, dove i tedeschi hanno creduto di potere vivere di rendita grazie al vantaggio competitivo che l’arrivo dell’euro ha concesso loro. La Merkel, però, colpevolmente non ha usato il grande margine di bilancio per operare quegli investimenti necessari per dare nuovo slancio alle infrastrutture e all’industria pesante tedesca. La Germania, solo per fare un esempio, spende appena l’1,3% del suo Pil in difesa, ha una rete ferroviaria che attende da vent’anni di essere ammodernata (il 36% dei treni a lunga percorrenza della Deutsche Bahn arriva in ritardo, principalmente per via di un’infrastruttura considerata fatiscente e spesso soggetta a guasti) e lo stesso si può dire di quella autostradale. E che dire dell’aeroporto di Francoforte che attende da anni un restyling, divenuto ormai imprescindibile.
Infine sembra non avere pagato nemmeno la politica aperturista verso i migranti (e questo dovrebbe essere di monito a chi nella nostra sinistra continua a incoraggiare l’apertura dei porti italiani all’immigrazione incontrollata). I tedeschi oggi vedono il migrante come un pericolo non solo per la loro sicurezza, ma anche per il mercato del lavoro, che non è certo così florido come qualche anno fa. E oggi, imbufaliti, si stanno rivolgendo in misura sempre più crescente ad Alternativa per la Germania, un partito di destra anti-Ue che tutti gli altri tacciano di nazismo.
Insomma, i nodi stanno venendo al pettine, e non è un caso forse se il leader della Cdu, il partito della Merkel, Friedrich Merz, 68 anni, fu rivale acerrimo dell’allora Cancelliera. Il paragone che spesso si fa tra Margaret Thatcher e Angela Merkel appare impietoso per la leader tedesca, che ha semplicemente traccheggiato, usufruendo dei vantaggi che le riforme sul lavoro del suo predecessore le avevano regalato. Ma ora occorre correre ai ripari e sarà inevitabile per la Germania ripensare non solo la politica green, ma anche quella sul fatidico Patto di stabilità, come va dicendo il nostro Paese da anni. L’austerity europea è stata un fallimento ed è ora che se ne traggano le conseguenze, e se questa situazione difficile della Germania servirà finalmente a fare ricredere tutti i suoi ancora troppi fautori, vorrà dire che sarà almeno servita per qualcosa di buono.
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