La Banca centrale europea, come ampiamente previsto, ha alzato i tassi di interesse di 75 punti base. Ma “restringere la leva monetaria senza coordinare questa azione con una strategia che indirizzi la spesa pubblica verso la ripresa economica, è la fotografia del sogno dell’ideologia neoliberale che si schianta contro la realtà”, ci dice Edoardo Laudisi, scrittore e traduttore, da anni in Germania, autore nel 2020 di Germania anno nero. Se a questo aggiungiamo le sanzioni e una politica estera decisa a tavolino dagli Stati Uniti, si comprende bene la paura, unita a senso di impotenza, che regna a Berlino.



Una situazione, quella tedesca, che riguarda anche l’Italia. Ad accomunare i due Paesi, infatti, sono la totale dipendenza politica da decisioni prese altrove e un prezzo da pagare in termini economici e sociali che non si può più nascondere.

Ieri la Bce ha alzato i tassi di 75 punti base. Una stretta anti-inflazionistica sull’economia che avrà l’effetto di aggravare la recessione, almeno in Italia. Anche in Germania?



Certamente. Rispondere a un’inflazione da costi, non di lavoro ma di materie prime, alzando i tassi di interesse, nella migliore delle ipotesi non serve a nulla. Restringere la leva monetaria senza coordinare questa azione con una strategia di economia politica precisa, che indirizzi la spesa pubblica verso la ripresa economica, è la fotografia del sogno dell’ideologia neoliberale che si schianta contro la realtà. Infatti ormai si parla di stagflazione, terribile parola degli anni Settanta che definisce uno scenario di stagnazione economica con tendenze recessive in presenza di inflazione.



Oggi ci sarà il vertice europeo, ma la decisione sul price cap slitta a ottobre. Qual è la situazione delle imprese tedesche a fronte dello stop deciso dal Cremlino?

Da quando Gazprom ha annunciato la chiusura del gasdotto Nord Stream 1, il mercato del gas in Europa ha subito oscillazioni fortissime dei prezzi con forbici superiori al 40%. Stamattina (ieri, ndr) al Bundestag il ministro dell’Economia Robert Habeck, attaccato pesantemente dall’opposizione per l’inconsistenza della sua politica (Herr Habeck, cosa è andato a fare in Qatar a parte l’inchino allo sceicco?, hanno tuonato dai banchi dell’opposizione), ha assicurato che le imprese tedesche riceveranno ogni tipo di aiuto statale fino a quando i prezzi dell’energia non saranno di nuovo normali. Tuttavia, la situazione delle imprese tedesche rimane in bilico.

Perché?

Perché da una parte stanno crollando i mercati dell’export, dall’altra le misure per contenere i costi energetici potrebbero non bastare.

Di quali aiuti parliamo?

In parte sono già in vigore come l’Energiekostendämpfungsprogramm (EKDP), il programma di contenimento dei costi energetici che garantisce dei sussidi alle imprese il cui impatto dei costi energetici supera una certa soglia. Il programma sarà esteso anche alle piccole e medie imprese. Una misura che in Italia ci sogniamo. Mentre in ottobre partirà il programma gas contro cash, che risarcirà le imprese che ridurranno volontariamente il consumo energetico.

Noi scriviamo da tempo che gli italiani non sono consapevoli della gravità della crisi in arrivo. E i tedeschi?

Sicuramente sono molto più consapevoli di noi che viviamo in una bolla mediatica deresponsabilizzante, ma proprio per questo hanno terrore di quello che potrebbe arrivare e quindi la tendenza è quella di nascondere la testa sotto la sabbia. La storia tedesca ha già vissuto una crisi che ha tratti comuni con questa, nel 1923. Allora un’iniziale inflazione partita al 7-8% si è infiammata arrivando in pochi mesi a cifre con sei zeri, distruggendo il sistema monetario. Il fatto è rimasto impresso nella memoria tedesca come trauma collettivo. Questa volta però sarebbe peggio, perché coinvolgerebbe un intero continente.

Che significato ha sul piano politico interno ed europeo il maxi-piano da 65 miliardi di euro a sostegno di famiglie e imprese, il terzo dell’era Scholz?

Il maxi-piano potrebbe rivelarsi un boomerang per Scholz. Intanto ha ricevuto una batteria di critiche da parte dei Länder che si domandano chi debba finanziare il progetto. Qui stanno facendo i conti della serva: secondo il piano, ad esempio, la Baviera dovrebbe metterci 4 miliardi, il Baden Württemberg 5, Berlino zero o quasi. Sono cifre, Berlino a parte, che cambiano i connotati ai bilanci regionali e li vincolano per gli anni a venire. I Länder avrebbero preferito un tetto al prezzo del gas invece dei sussidi. La situazione è tremendamente complessa e ogni decisione in un senso comporta degli effetti negativi nell’altro difficilmente quantificabili.

In questo momento che cosa salverebbe l’economia tedesca?

Detto molto semplicemente: riaprire i negoziati con la Russia e rivedere la politica delle sanzioni.

Ma c’è qualcuno in Germania che chiede la fine delle sanzioni?

Ufficialmente nessuno ha il coraggio di farlo. Tengono tutti molto alle proprie carriere politiche. Però nel luglio scorso l’ex cancelliere Gerhard Schröder è stato in Russia per incontrare Putin. Naturalmente i media mainstream e il suo partito, la Spd, lo hanno attaccato ferocemente, però intanto lui a Mosca ci è andato e sicuramente non in rappresentanza soltanto di sé stesso.

Se fin dallo scorso maggio Habeck aveva parlato di una “Lehman energetica”, che cosa – o chi – ha impedito di fare scelte conseguenti?

L’unica scelta conseguente, e intelligente, sarebbe stata quella di non applicare le sanzioni o di usarle come leva per arrivare a una soluzione negoziale del conflitto. L’Europa, non solo la Germania, avrebbe dovuto utilizzare tutte le sue risorse diplomatiche, economiche e culturali per rendere possibile l’apertura di negoziati tra Ucraina e Russia. Invece si è fatta imporre la linea dagli Usa, che hanno altri interessi.

“Non mi importa degli elettori” ha detto la ministra degli Esteri Annalena Baerbock. Eppure il 77% degli elettori tedeschi vuole l’avvio di negoziati per porre fine alla guerra. Che cosa sta succedendo al governo?

Annalena Baerbock è probabilmente uno dei politici meno intelligenti della storia tedesca. Le sue gaffe non sono dovute a inesperienza, che pure c’è, ma a mancanza di cultura e a un livello intellettuale mediocre, a malapena mascherato da un’ottusa corteccia ideologica. Detto questo, va notato che ogni volta che la Germania ha agito sulla base di tesi ideologiche sono stati dolori per tutti. Quando invece la politica tedesca parte dal dato oggettivo, pragmatico, è capace di fare scelte importanti. Oggi purtroppo sembra prevalere la prima opzione.

Prevedi scossoni politici? Come saranno assorbiti?

Al momento non ci sono alternative a questo governo, questo il governo lo sa e quindi va avanti. Sarà la realtà a scombussolare il quadro. La domanda è: quando le imprese fermeranno la produzione per via dei costi energetici insostenibili e inizieranno a mandare la gente a casa, e la gente disoccupata non potrà più pagare le bollette, e i supermercati non potranno più rinnovare le scorte, cosa succederà? A quel punto gettare 65 miliardi nell’ennesimo maxi-piano potrebbe non bastare, anche perché l’euro potrebbe non valere più niente.

A tuo avviso la crisi della Germania pone in modo nuovo anche il problema della tenuta dell’Unione?

Assolutamente sì. La Germania è dilaniata. Da un lato capisce bene che la scelta di andare contro alla Russia è suicida, c’è consapevolezza di questo. Dall’altro non c’è la forza, né il coraggio, di opporsi alle scelte imposte dagli Usa e dalle élite globali, quelle che si incontrano al World Economic Forum di Davos per intenderci. Questo stallo consuma il Paese con una tensione superiore a quella che lo attraversava quando era separato dal Muro. Il destino dell’Unione Europea è indissolubilmente legato a questo processo.

(Federico Ferraù)

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