È sempre più difficile comprendere che cosa sia la politica, ossia l’agire politico e la partecipazione politica, nell’era della distruzione liberista dello Stato. Essa continua di fatto dalla prima metà degli anni Ottanta del Novecento su scala mondiale, iniziando con le legislazioni Blair-Clinton di deregulation finanziaria e di smantellamento dello Stato sociale. A cominciare, soprattutto, dai plessi statuali più deboli come quelli africani (nessuno ricorda mai che oggi in Congo si paga anche per frequentare le scuole elementari, come ci ha ricordato Veronica Pietrobono in un suo bellissimo articolo dove si dice: “La regola di base è una: la scuola è aperta a tutti quelli che hanno i soldi per permettersi la lezione del giorno”, cito da I bambini e le bambine invisibili della Repubblica Democratica del Congo, in D.E.P., 2015).



Quei plessi sono stati sostituiti, dopo le prove generali del Washington Consensus in Cile e in Argentina a colpi di migliaia e migliaia di esseri umani torturali e gettati dagli aerei in volo, dopo uomini politici e presidenti in carica, in Libia, in Siria, nella Mesopotamia e nel Nord Africa tutto, con armate private sui nuovi fronti della guerra imperialistica e con la lotta feroce tra imprese grandi e medio-grandi per ricostruire e sfruttare le risorse economiche senza costruire di nuovo gli antichi Stati post-coloniali.



In Europa tutto si è svolto senza guerre, fortunatamente, con l’uso del dominio poliarchico imperniato sulle costituzioni scritte del secondo dopoguerra. Esse sono rimaste come antemurali del liberalismo politico eviscerato dalle conquiste sociali che quelle stesse costituzioni inverarono, per sostituire via via i sistemi di welfare con sistemi di concorrenza e di meritocrazie senza inclusione sociale e quindi – secondo il dettato del grande libro di Michael Young L’avvento della meritocrazia – ponendo le definitive basi per la distruzione degli ascensori sociali che fecero la forza dei gloriosi anni del secondo dopoguerra.



Oggi il processo si è compiuto con l’Ue in una Europa senza costituzione e solo trattati tra Stati che combattono l’uno contro l’altro, velando con la retorica europeista questa lotta di potenza senza esclusione di colpi.

Ebbene, ora diranno i più: “Che cosa c’entra questa ‘sapellata’ con la crisi del governo Conte?”. C’entra eccome, perché quello a cui stiamo assistendo non ha un ordine logico e razionale come pensa debba sempre avere la lotta politica, la cosiddetta politologia (sempre dimentica purtroppo della lezione dei classici Mosca-Pareto-Michels-Ortega y Gasset, ossia della scuola elitista, insuperata interprete delle società politiche di massa). La politologia si ostina ancor oggi a interpretare le vicende della macchina dei partiti e quindi dei governi come se i partiti esistessero ancora.

Oggi i partiti in tutto il mondo – salvo poche eccezioni – sono in via di distruzione sistematica, perché è lo Stato nazionale a essere stato via via distrutto in tutto il mondo.

Non a caso Costantino Mortati, quando parlava di “costituzione materiale”, non si riferiva ai cosiddetti “poteri forti” come pensano gli stupidi odierni, ma pensava ai partiti politici di massa che erano le basi morali e sociali dello Stato nel rapporto con la società civile, organizzando la partecipazione politica e quindi l’inclusione delle masse nello Stato.

Oggi, per i colpi del liberismo dilagante (che usa ogni mezzo, per esempio la presunta lotta contro la corruzione, che pur esiste, per raggiungere i suoi fini) lo Stato viene via via distrutto e quindi non può che essere distrutta anche la sua base civile: i partiti politici, appunto.

Dinanzi al Presidente della Repubblica, peraltro anch’egli ormai frutto di questa inedita situazione istituzionale di distruzione crescente dello Stato e quindi dei partiti, non si rappresentano più gli spettacoli dei partiti politici. Sfilano sui palcoscenici dei mass-media e si inerpicano sui colli i rappresentanti di gruppi caciquisitici, ossia di imprenditori della politica non come destino, ma come strumento per la via al potere economico, sociale, finanziario. La politica assoluta di pizzorniana memoria è stata sostituita dal mercato assoluto, che non tace più nell’agone della politica. La civis è stata distrutta: è stata distrutta con il mercato.

L’opinione pubblica non può più esistere nel dominio di un pensiero unico. Tale pensiero, varia da latitudini a latitudini e da longitudini a longitudini: è quello dell’“europeismo” nella Ue; è quello del politically correct negli Usa e quindi in gran parte del mondo; è quello del confucianesimo in Asia, che fa dimenticare che già nel 1912, ultimo anno della dinastia Ming, il Pil della Cina superava quello della Germania e della Gran Bretagna e che durante l’occupazione della Corea e della Manciuria negli anni Trenta del Novecento da parte del Giappone lo stesso Pil cinese era già superiore a quello Usa. E così si diffonde il mito della potenza cinese…

Bene: veniamo al dunque. È chiaro che l’unica rete delle filamentose articolazioni degli Stati a non essere stata distrutta è quella delle relazioni internazionali, grazie anche al fatto controintuitivo che le tecnocrazie interstatali mondiali (Fmi, Oms, Banca mondiale, eccetera) se erodono gli Stati, senza di essi, d’altro canto, non potrebbero esistere.

Di qui la distruzione mai definitivamente compiuta degli Stati stessi e il ruolo che essi – che ancora hanno lo spirito di potenza come ragione storica di esistenza – non possono non agire, condizionando le mucillagini peristaltiche degli altri Stati che hanno visto la distruzione dei partiti.

L’Italia è un osservatorio privilegiato di questo progetto per la sua stessa storia e per il particolarissimo processo di unificazione nazionale che l’ha caratterizzata (si legga Rosario Romeo per iniziare a comprendere il problema). In Italia, tutte le compagnie di ventura si muovono seguendo indicazioni che emanano sia dal peso degli interessi economici di spartizione delle risorse europee (si leggano i piani del governo in questa ottica e molto si comprenderà di ciò che sta accadendo con le salite al Colle e i voti parlamentari e la creazione di contenitori di sostanze innominabili), sia dal peso delle presenze attive delle diplomazie straniere, che ora sanno che le légions d’honneurs e le borse di studio e le permanenze in università oltreoceano, Atlantico o Pacifico, non sono più sufficienti per affermare il dominio nella guerra economica: occorre agire legando a sé in forme permanenti e affidabili le nuove classi circolanti del personale politico.

Vilfredo Pareto ci aiuta a comprendere: si leggano i passi del Corso di sociologia generale dedicate alla distinzione tra le volpi e i leoni e si capiranno molte cose dell’oggi. Certo bisogna essere “apoti” – ossia, come diceva Prezzolini, “quelli che non la bevono”. In un mondo di ubriachi è anche snob. Non si sta così male… E si comprende che la lotta è destinata a continuare senza sosta tra filo-cinesi e filo-francesi, per esempio, che debbono compensare la presenza industriale organica dei plessi tedeschi, e che si devono creare sistemi di compensazione nei confronti dei filo-francesi e dei filo-americani e dei piccoli gruppi filo-iraniani e filo-nordcoreani, senza parlare dei seguaci di una patria russa che non cessa mai di brillare nell’agone internazionale.

Insomma, tutto non è che una questione di relazioni internazionali e di lotta per le spartizioni. Quindi l’instabilità è destinata a durare a lungo e il non votare è la condizione fondamentale perché questo negoziare nel buio possa continuare a lungo, perché molte saranno le risorse da spartire. E il galateo non l’ha letto più nessuno.

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