Il settore idrico italiano presenta due importanti falle. La prima vede la necessità di realizzare infrastrutture moderne per garantire la tutela della risorsa idrica che, dal 1991 al 2020, ha registrato una diminuzione di circa il 20% rispetto al periodo 1921-1950 attestandosi a 133 miliardi di metri cubi. Il calo è senz’altro frutto dei cambiamenti climatici, e causa della crescita delle zone colpite da siccità: il 2022 è stato l’anno più caldo e meno piovoso della storia in Italia, con un aumento incontrollato delle temperature nelle principali città italiane.



Come rivela Il Sole 24 Ore, sulla discesa dei livelli dell’acqua ha inciso anche lo stato di salute della rete italiana con un tasso di dispersione tra i più alti in Europa (42% inferiore solo all’Irlanda, in linea con Malta). Si tratta di livelli quasi raddoppiati rispetto alla media europea, intorno al 23-25%. I Paesi più virtuosi come la Germania hanno perdite intorno al 7%. Il secondo elemento di debolezza riguarda il valore degli investimenti pro capite. Si tratta di valori in crescita negli ultimi anni ma il gap è ancora sostanzioso rispetto all’Europa. L’analisi condotta da Utilitalia e Fondazione Utilitatis riguarda che il dato nel 2021 è stato di 56 euro l’anno per abitante, in aumento del 17% rispetto al 2019 (49 euro per abitante) e di circa il 70% rispetto al 2012 (33 euro). La media europea (82 euro) è però ancora lontano.



In Italia il 20% dei Comuni gestisce il servizio idrico

Come rivela Il Sole 24 Ore, il motivo degli scarsi investimenti in Italia nel settore idrico è presto spiegato: i gestori industriali hanno una maggiore propensione a investire con una media di 63,1 euro per abitante per abitante. Questo si riflette sulle performance di servizio. I dati sono differenti e mostrano un gap anche a livello geografico, con gli investimenti realizzati dai gestori industriali nel Centro-Italia che si attestano sui 75 euro l’anno per abitante. Al Nord Est parliamo di 56 euro, al dal Nord Ovest di 53 euro. Al Sud gli investimenti sono solo di 32 euro all’anno.



Il gap nel servizio idrico vale lo 0,5 del Pil con i suoi 8,1 miliardi di fatturato. In alcune aree del Paese ci sono maggiori criticità che in altre. Molti comuni in Italia gestiscono il servizio idrico in autonomia: si tratta di 1.519 amministrazioni (il 20% rispetto al dato nazionale): queste gestiscono l’attività di acquedotto, fognatura e depurazione per 8.2 milioni di abitanti. La maggior parte di questi è al Sud (1.206 di questi comuni). Filippo Brandolini, presidente di Utilitalia, ha invocato una riforma del servizio idrico a quasi 30 anni dall’ultima ristrutturazione del settore.