È ancora presto per capire quali effetti la riapertura delle attività ha avuto per le tante aziende italiane che sono dovute rimanere ferme durante le settimane di lockdown. La conferma arriva anche da Alessandro Mercuri, Amministratore delegato di Deloitte Consulting, società di consulenza con un portafoglio clienti di 4.000 imprese, principalmente medie e grandi. «Vediamo senz’altro qualche segnale di ottimismo, ma i settori più impattati dalla crisi, come i trasporti, in particolare quello aereo commerciale, e il turismo restano in grande sofferenza. I negozi hanno riaperto, abbiamo visto anche immagini di code di clienti fuori dai punti vendita di grosse catene, ma prima di capire se ritornerà tutto come prima ci vorrà un po’ di tempo, almeno qualche settimana».



Fate parte di uno dei principali gruppi mondiali nel settore della consulenza alle imprese. È possibile fare una comparazione tra l’impatto che la crisi ha avuto sul nostro Paese rispetto al altri dove operate?

In questo momento il mondo è come fosse diviso in tre grosse aeree: l’Oriente, l’Europa e le Americhe. C’è da dire che l’impatto economico che si è registrato è anche funzione del diverso livello di democraticità dei Paesi. In Cina, ammesso e non concesso che non ci siano dei contagi di ritorno, si è già in una fase di rimbalzo, testimoniata dai dati economici di aprile, anche se si è ancora lontani dai livelli pre-Covid. In Europa, siamo appena all’inizio della ripartenza, mentre l’America è nel pieno dell’ondata di contagi e quindi è nel momento di più severo impatto, dunque gli Stati Uniti dovranno attendere prima di poter iniziare il recupero.



All’interno dell’Europa ci sarà un quadro di diverse velocità di ripartenza?

Credo di sì, perché abbiamo strategie diverse. Secondo i dati previsionali di impatto sul Pil, l’Italia rischia di perdere il 10%, mentre la Germania il 6%. È chiaro quindi che le economie non saranno tutte impattate allo stesso modo, ci saranno delle differenze, anche importanti e significative.

Da che cosa sono determinate queste differenze?

Da un lato, dal tessuto industriale del Paese, dall’altro, dai provvedimenti presi dai Governi rispetto a chiusure più o meno severe. Non dobbiamo poi trascurare le aree dove il coronavirus ha colpito di più. In Italia, per esempio, ci sono stati molti più contagi al Nord, cuore produttivo del Paese, che non al Sud. Avremo quindi un impatto sul Pil più pesante anche perché la chiusura è stata lunga per le fabbriche del Nord. Molto dipenderà ora dalle misure che prenderanno e potranno prendere i Governi. A nessuno sfugge che l’Italia, con le difficoltà che ha in termini di debito pubblico e spesa corrente, avrà una capacità di mobilizzare risorse diversa da quella di altri Paesi, a prescindere dall’aiuto delle istituzioni europee.



Percepite, da parte delle imprese vostre clienti, delle difficoltà determinate dalle normative e disposizioni sulla fase di ripartenza, come l’annosa questione della responsabilità in caso di contagio di un proprio dipendente?

Le aziende italiane sono abituate a convivere con una situazione legislativa che non è mai completamente certa. Tutte quelle che noi assistiamo stanno applicando in modo rigoroso le norme e non bisogna trascurare il fatto che la stragrande maggioranza di quelle che possono permettersi, per attività e infrastruttura tecnica, di operare in smart working sta continuando a farlo, anche se gli uffici sono stati riaperti. Questo perché il più grande elemento di incertezza in questo momento, più che un provvedimento o una norma, è rappresentato dalla possibilità di nuovi contagi in ambienti chiusi come lo sono appunto gli uffici. Diverso è il mondo delle fabbriche, dove non potendosi fermare la produzione, nel rispetto delle normative, stanno riaprendo tutti.

A soffrire molto in questa fase sono state anche le imprese export oriented, che in passato sono state invece un traino per la crescita. Potranno esserlo ancora?

Il 32% del nostro Pil dipende dalle esportazioni. Tutte le attività legate all’export, data la fase in cui le frontiere sono state chiuse, restano purtroppo ancora a rischio. Ciò che era un nostro punto di forza, oggi è in sofferenza, ma sono convinto resterà fondamentale per la ripartenza, insieme a un ulteriore punto di forza.

A che cosa si riferisce?

Alla nostra capacità di diversificazione, di essere leader non in un singolo settore, ma su diversi fronti. Mi spiego con un esempio: la Germania esporta più di noi, ma principalmente automobili, e in una fase in cui i concessionari sono chiusi è in realtà più in difficoltà di chi è più capace di fare tante cose diverse come noi. Questa nostra capacità potrà essere quindi un altro importante punto da cui ripartire. Non dobbiamo mai dimenticare il valore industriale e produttivo dell’Italia: siamo la seconda manifattura d’Europa.

Cos’altro potrà essere importante per le chance di ripresa?

Gli interventi che verranno presi dal Governo. Se si tenterà di rilanciare la domanda interna anche mettendo soldi nelle tasche degli italiani, non è detto che in un momento incerto come quello che stiamo attraversando non venga privilegiata la scelta del risparmio piuttosto che quella della spesa. L’effetto sull’economia sarebbe quindi molto limitato. Il provvedimento economico capace di far partire l’economia per eccellenza è quello degli investimenti pubblici, che hanno anche un altro vantaggio.

Quale?

Dato che le risorse che verranno usate oggi sono a debito o frutto di prestiti europei, gli investimenti infrastrutturali consentono di lasciare alle generazioni future qualcosa di più di un fardello da rimborsare. La cosa migliore sarebbe dunque trovare il giusto equilibrio tra risorse da destinare giustamente a chi è in difficoltà e investimenti pubblici fondamentali per la ripartenza.

Conteranno molto anche i tempi con cui si riusciranno a far partire i cantieri per realizzare le infrastrutture.

Certamente occorrerà un miglioramento della burocrazia, come si va ripetendo da diversi anni ormai. Un momento di crisi deve essere un momento di ripensamento, perciò tutto ciò che in Italia non sta funzionando, anche dal punto di vista delle aziende, andrà cambiato. Bisognerà essere molto bravi a puntare sui quei settori, su quelle aziende che possono essere più capaci di stare sul mercato attuale.

Serviranno quindi dei cambiamenti nell’organizzazione e nella catena dei processi decisionali aziendali.

Il fatto di essere stati costretti a lavorare per settimane in smart working, ha posto un nuovo tema per le aziende. Si può lavorare in smart working, ma non tutti i lavori possono essere svolti efficacemente con questa modalità. Bisognerà quindi ripensare a una serie di attività, che possono essere eseguite anche senza essere fisicamente vicini, ma nel contempo anche rivedere l’organizzazione degli uffici. Dal punto di vista dei processi decisionali occorre ricordare che nelle grandi aziende essi sono complessi e articolati, perché più una decisione è condivisa, più è di facile implementazione. Tuttavia le ultime settimane hanno portato una novità.

Quale?

Le aziende sono state costrette ad adottare modelli più snelli, concentrando le decisioni su poche persone, guadagnando quindi in velocità, ma perdendo in condivisione. Bisogna quindi trovare un giusto equilibrio concentrando al vertice le decisioni che sono veramente strategiche e delegando tutte le altre ai livelli inferiori. Si potrà in questo modo coniugare la snellezza decisionale con la condivisione.

(Lorenzo Torrisi)

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