È vero che il Pil italiano del primo trimestre non è più negativo, dopo la revisione operata in settimana dall’Istat, ma la nostra economia non può certo tirare un sospiro di sollievo a fronte di un’inflazione che nell’arco di un solo mese è cresciuta dello 0,9% (dal 6% di aprile al 6,9% di maggio).
Oltretutto, come ricorda Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «in un momento in cui erano in vigore le misure per calmierare i prezzi energetici ed erano già spenti i riscaldamenti. Mi consenta una piccola annotazione sul dato diffuso in settimana: guardando alla disaggregazione dei prodotti per frequenza d’acquisto, è presente una certa differenza tra l’indice dei prezzi di quelli a bassa (+2,7% tendenziale), media (+9,2%) e alta (+6,7%) frequenza. In sostanza è come se venisse detto alla famiglie che ci sono beni durevoli o servizi di cui può convenire anticipare l’acquisto per non pagarli di più dopo».
Possiamo dire, quindi, che il picco per l’inflazione non è stato ancora raggiunto…
Il dato italiano può ancora peggiorare, anche perché può salire ancora il prezzo del petrolio, che non è ancora ai suoi massimi storici. Tra l’altro il greggio può salire anche per via delle sanzioni che l’Ue, salvo ulteriori veti, si appresta ad approvare. Il tasso d’inflazione è in questo momento rappresenta un po’ un collegamento tra l’economia e la guerra. Nel senso che non c’è dubbio che la situazione sia precipitata proprio quando si sono esaurite le restrizioni legate alla pandemia e sembrava esserci spazio per un ritorno alla normalità, da tutti i punti di vista. In modi diversi, Stati Uniti ed Europa hanno invece sperimentato una situazione che non è affatto normale. Il rischio peraltro è quello che si producano delle distorsioni serie, sia negli Stati Uniti, dove si avvicinano le elezioni di midterm, che, soprattutto, in Europa.
Il rischio è che l’Europa paghi un prezzo più alto?
Se non si arriva a una pace in Ucraina o a qualcosa che le somigli, è probabile che in Europa ci sia spazio per un ulteriore aumento dei prezzi energetici. Cosa meno probabile negli Stati Uniti che possono anche contare sullo shale. È possibile, quindi, che assisteremo a una divaricazione tra la dinamica inflazionistica americana e quella europea. Da noi il rischio è più alto e quindi bisogna intervenire subito per bloccare un meccanismo che rischia di diventare pericoloso perché autoalimentante.
Come bisognerebbe intervenire?
Come ha detto giustamente il Governatore della Banca d’Italia Visco, l’inflazione è una tassa ineludibile, tuttavia c’è chi la paga in misura maggiore e chi meno. C’è anche purtroppo chi se ne approfitta e aumenta i prezzi in misura ingiustificata rispetto a quanto fanno altri nel suo stesso comparto, compresi coloro che non ritoccano in alcun modo i loro listini. Questo è decisamente il momento per prelevare con l’imposizione fiscale parte dei sovraprofitti, non solo quelle delle aziende energetiche, e andare incontro a chi sta subendo perdite, anche pesanti. Tra l’altro alle aziende controllate dallo Stato, in questa situazione emergenziale, bisognerebbe chiedere un impegno maggiore su questo fronte. Il punto è che l’inflazione è collettiva, bisogna dividere l’onere che in questo momento danneggia la gran parte della popolazione.
Come bisognerebbe utilizzare le risorse reperite da questa operazione fiscale?
Se ne può discutere, ma credo che si possano individuare le fasce sociali più colpite dagli aumenti dei prezzi e non si tratta di un’operazione difficile, perché si sa quali sono i beni che sono aumentati di più, chi li acquista e con quale frequenza. Insomma, quali sono le famiglie più impattate dall’inflazione lo si può sapere. Andrebbe quindi previsti degli aiuti guardando al reddito familiare e al numero di componenti del nucleo.
Quali aiuti andrebbero invece dati alle imprese?
Vedo che c’è una gran voglia di accantonare i progetti legati alla transizione energetica. Secondo me è invece il momento per incentivare l’efficientamento energetico delle imprese. Si può e si deve aiutarle su questo fronte, così da ridurre i loro costi energetici. Occorre utilizzare al meglio di tutti gli spazi che esistono per far sì che ci sia un’economia che continua a svilupparsi, ma in modo efficiente.
Come sappiamo, l’inflazione è cruciale anche per le decisioni della Bce. Un rialzo dei tassi sembra ormai certo.
È vero, ma io credo che l’aiuto monetario dovrebbe essere a disposizione senza far cadere tutto ciò che era in vigore per contrastare gli effetti del Covid. Se arrivata la pandemia c’è stata una meritoria mobilitazione dal punto di vista degli strumenti messi in campo dalla Bce, perché questi devono venire del tutto meno ora che c’è un conflitto che sta spazzando via in Europa quel poco di beneficio economico ottenuto con la fine delle restrizioni?
Secondo lei, la Bce dovrebbe portare avanti gli acquisti di titoli di Stato?
Sì o quanto meno non dovrebbe smantellare così rapidamente come si sta accingendo a fare tutta la struttura di sostegno, avendo un occhio vigile per le imprese europee. Quello che intendo dire è che la Bce può contribuire a lasciare spazio fiscale agli Stati per aiutare il sistema produttivo. La politica monetaria e quella fiscale dovrebbero essere coordinate a livello europeo.
(Lorenzo Torrisi)
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