L’Istat ha confermato ieri le stime iniziali sull’inflazione di giugno, scesa su base annua al +6,4% dal +7,6% di maggio. Mese su mese, l’indice dei prezzi al consumo è rimasto invariato. Come ci spiega Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, si tratta di «una notizia che induce a nutrire qualche speranza, ma che andrebbe analizzata più nel dettaglio».
Perché, cosa si vede analizzando i dati dell’Istat?
Si nota che i prezzi dei prodotti alimentari e delle bevande analcoliche sono cresciuti dell’11% su base annua, mentre quelli per abitazione, acqua, elettricità e combustibili del 10,1%. Di fatto prodotti che pesano per circa un terzo sull’intero paniere presentano variazioni tendenziali in doppia cifra. E, come abbiamo evidenziato in precedenti occasioni, le spese per il cibo e la casa sono quelle più difficilmente comprimibili e che pesano, quindi, in modo particolare sulle fasce meno abbienti. Un’altra voce cresciuta più della media, e che è particolarmente importante in questo periodo di vacanze, per chi se le può permettere, è il +7,6% dei servizi ricettivi e di ristorazione. C’è, infine, un altro aspetto che mi preoccupa.
Quale?
La tendenza generale, positiva, dell’inflazione è stata influenzata in modo particolare dal calo dei prezzi dei beni energetici. Il che vuol dire che, in un quadro in cui il potere d’acquisto continua a essere vacillante, c’è il rischio che la dinamica inflattiva più favorevole possa essere annullata da fattori esogeni alla nostra economia.
A che cosa si riferisce?
Occorre sperare che non ci siano nuove tensioni sui prezzi dei beni energetici, senza trascurare le conseguenze che potrebbero esserci su quelli alimentari da uno stop ai corridoi del grano che la Russia non pare disposta a rinnovare. Ci troviamo su un crinale molto inclinato e dobbiamo augurarci che le cose vadano per il meglio, anche per quel che riguarda le notizie dagli Stati Uniti.
Da che punto di vista?
Se la Fed, come qualche analista ipotizza, andrà avanti a rialzare i tassi di interesse, la Bce le andrà dietro e questo contribuirà a rallentare l’attività produttiva in Italia. Dobbiamo, quindi, sperare che questa dinamica inflattiva tendenziale non sia effimera e che torni a essere sotto controllo. Probabilmente ci vorrà ancora un po’ prima di poter essere più ottimisti, perché all’orizzonte, come abbiamo visto, ci sono pericoli veri, sia sul fronte della quotidianità delle famiglie, sia per quel che riguarda le imprese.
Quando la dinamica inflattiva potrà dirsi sotto controllo?
Non occorre portare l’inflazione sotto il 2%, perché il target della Bce si riferisce al medio termine. Basterebbe, quindi, scendere sotto il 3%.
Cosa si può fare per favorire il raggiungimento di questo obiettivo?
Bisogna fare in modo di aumentare il potere d’acquisto dei cittadini più in difficoltà. Credo sia necessario accrescere i livelli retributivi minimi: che lo si faccia tramite la contrattazione o il salario minimo legale, l’importante è che ci siano retribuzioni che consentano condizioni di vita dignitose. È poi importante riuscire a mettere a terra il Pnrr per spingere l’economia attraverso gli investimenti.
Sul primo fronte, come detto in altre occasioni, resta prioritario tagliare il cuneo fiscale e far sì che alcune imprese destinino parte dei profitti cresciuti in maniera significativa alle busta paga dei lavoratori?
Esattamente. Si tratta di mettere in campo non tanto la politica monetaria, ma quella fiscale. Se qualcosa manca oggi nel nostro Paese è un coordinamento delle politiche fiscali. Checché se ne dica, i salari reali in Italia sono bassi e bisogna fare qualcosa. Così come un intervento importante come la riforma fiscale di cui si sta parlando in questi giorni deve avere l’obiettivo di spingere l’economia.
(Lorenzo Torrisi)
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