La scorsa settimana sia Fed che Bce hanno alzato i tassi di un quarto di punto. La banca centrale americana, a differenza di quella europea, sembra, però, avviata verso una fase “attendista” nella politica monetaria. E oltreoceano non mancano preoccupazioni sul reale stato di salute del sistema bancario. Abbiamo fatto il punto con Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino.
Professore, cominciamo dagli Stati Uniti. Le mosse della Fed contro l’inflazione stanno funzionando?
Negli Stati Uniti non c’è stato un grande aumento dei prezzi energetici come in Europa e l’inflazione sembra essere resistente alle misure di politica monetaria: gli effetti della stretta non si vedono. Credo che in ogni caso ci sarà un rallentamento nel ritmo di rialzo dei tassi fino a una pausa anche per valutare cosa accadrà. Non dobbiamo del resto dimenticare che l’anno prossimo ci saranno le elezioni presidenziali. A parte questo, ci sono anche dei segnali di cambiamento strutturale dell’economia americana che devono essere osservati con attenzione.
A che cosa si riferisce?
Per esempio, nel comparto tech negli ultimi dodici mesi ci sono stati molti licenziamenti, quasi mezzo milione. È vero che in gran parte questi lavoratori si sono ricollocati, ma in settori più tradizionali e con paghe più basse. Questo significa che l’espansione di servizi e prodotti legati a internet si è fermato, come pure l’ascensore sociale. Tenendo anche conto del welfare esistente, gli Stati Uniti si trovano in una situazione difficile per cui se l’economia rallenta stanno tutti peggio, mentre se accelera aumentano le disuguaglianze, e non si intravede una soluzione.
In Europa, invece, l’inflazione è risalita ad aprile. Tornerà a scendere?
In Europa l’inflazione è stata causata in via predominante dai prezzi energetici, che sono scesi negli ultimi mesi, per cui l’indice dei prezzi dovrebbe ridursi e sembra plausibile, come prevede la Bce, il ritorno al target del 2% tra il 2024 e il 2025.
La situazione in Europa è quindi migliore che negli Stati Uniti?
Direi sostanzialmente di sì, anche se non va trascurato un fattore, presente anche negli Usa, che viene straordinariamente trascurato.
Quale?
La siccità, che di fatto significa un taglio della produzione, soprattutto nel settore agroalimentare. Un taglio che, a parità di domanda, non può che portare a un aumento dei prezzi. E la Bce non può far nulla contro questa mancanza di prodotto fisico. Ci vorrebbero quanto meno degli investimenti per contrastare il fenomeno, i cui risultati non sarebbero però immediati. Questo ci porta anche a riflettere sul fatto che se le nostre politiche economiche si limitano all’erogazione di sussidi contro la povertà non andremo lontano, perché non verrebbero intaccate le cause dell’impoverimento.
Un coordinamento europeo potrebbe essere utile per attivare gli investimenti necessari a contrastare gli effetti della siccità?
Sicuramente sì, ma bisogna anche vedere cosa vuol dire esattamente, perché non è facile disegnare una strategia comune vista la non omogeneità di clima e bacini idrici in Europa. Tuttavia, avere una procedura per affrontare allo stesso modo i fenomeni di siccità potrebbe essere molto importante.
La scorsa settimana sono riemerse anche preoccupazioni sulla situazione del sistema bancario americano. Si tratta di timori infondati?
Non abbiamo gli elementi necessari per effettuare diagnosi sicure. Non si può escludere a priori che il sistema americano non regga, ma al tempo stesso sembra molto difficile che ciò possa accadere, anche perché chi ritira i suoi soldi da una banca che non percepisce più come sicura non li mette sotto il materasso, ma li sposta in un’altra banca che gli trasmette maggior fiducia. Il risultato è quindi una perdita di operatori nel settore bancario americano, in particolare quelli medi. Credo che la Fed abbia commesso un errore nel lasciare che crescessero quelle che non sono vere e proprie banche, ma somigliano più a società finanziarie. La via da seguire ora, per quanto non semplice, appare segnata: ripulire il sistema, sostenere le banche grandi che assorbono i depositi di quelle in difficoltà così da cercare di reimmettere la liquidità nei canali giusti.
L’Europa deve temere per un possibile contagio?
In Europa, con una guerra alle porte di casa, c’è una speciale incertezza. Anche perché non mancano visioni diverse tra i Paesi membri dell’Ue. Un contagio potrebbe esserci se le banche europee, attraverso i fondi e gli strumenti finanziari in cui investono, si ritrovassero a detenere titoli degli istituti americani in difficoltà. Non credo si possa escludere, ma il tipo di sorveglianza attivo sulle banche in Europa è di un livello talmente diverso da quello americano da potere ritenere altamente improbabile che ci sia importante fallimento bancario.
(Lorenzo Torrisi)
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