Oggi 16 novembre prende il via alla Camera dei deputati (aula dei gruppi parlamentari) un’importante iniziativa: una serie di “lezioni” organizzate della Fondazione Ugo La Malfa (in memoria del Ministro e leader repubblicano): la prima, sul tema “inflazione e politica monetaria”, verrà tenuta dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco.
Non è questa la sede di anticipare i contenuti della “lezione”. Oppure di tentare di intravedere la previsioni della Banca per l’immediato futuro. A metà ottobre, via Nazionale ha pubblicato un aggiornamento delle proiezioni macroeconomiche per l’Italia nel triennio 2022-24 presentate nel Bollettino economico di luglio.
Nell’attuale fase di elevata incertezza, le stime hanno natura indicativa e dipendono fortemente dalle ipotesi sull’evoluzione dei prezzi e dalla disponibilità delle materie prime, in larga parte determinata dagli sviluppi geopolitici. La nota di metà ottobre presenta uno scenario di base e uno scenario più avverso. Il primo presuppone che i flussi di gas dalla Russia verso il nostro Paese rimangano sui livelli osservati negli ultimi mesi e che i prezzi delle materie prime siano coerenti con quelli desumibili dai recenti contratti futures. Nello scenario più avverso si ipotizzano un’interruzione completa dei flussi di gas russo verso l’Europa e prezzi delle materie prime significativamente più elevati, a cui si accompagnerebbero un più marcato rallentamento del commercio internazionale e, nel breve termine, una maggiore incertezza. Entrambi gli scenari tengono conto delle misure inserite nella Legge di bilancio per il 2022, di quelle adottate a partire dall’inizio dell’anno per contrastare gli effetti del rincaro dell’energia e dell’utilizzo dei fondi europei nell’ambito del programma Next Generation Eu sulla base delle informazioni relative al Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Nello scenario di base, la crescita del Pil in Italia sarebbe pari al 3,3 per cento quest’anno, allo 0,3 nel 2023 e all’1,4 nel 2024. La debolezza dell’attività nei prossimi trimestri rifletterebbe principalmente quella dei consumi delle famiglie e degli investimenti delle imprese in macchinari e attrezzature, che risentono dell’impatto dell’elevata inflazione sul reddito disponibile, della maggiore incertezza e dell’aumento dei costi di finanziamento. Vi inciderebbe, inoltre, il rallentamento degli scambi internazionali.
In uno scenario alternativo più avverso si ipotizza che le forniture di beni energetici dalla Russia verso l’Europa siano permanentemente interrotte a partire dall’ultimo trimestre dell’anno in corso e compensate grazie a una sostituzione con fonti alternative crescente ma ancora parziale nel prossimo anno e che si completerebbe nel 2024. A tali sviluppi si accompagnerebbe un ulteriore rallentamento del commercio mondiale e una forte crescita dell’incertezza. Il prodotto si espanderebbe del 3 per cento quest’anno, si contrarrebbe di oltre l’1,5 per cento nel 2023 e tornerebbe a crescere moderatamente solo nel 2024. L’inflazione al consumo, lievemente più elevata nell’anno in corso rispetto allo scenario di base, continuerebbe a salire anche il prossimo anno, superando il 9 per cento, per poi scendere in maniera decisa nel 2024.
Questi scenari pongono seri interrogativi sul ruolo della politica monetaria nel ridurre l’inflazione senza frenare eccessivamente la crescita come avvenne tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso. È tema al centro di un dibattito tra economisti e dirigenti di banche centrali. Su questo argomento – ci si augura – la “lezione” potrà portare lumi. Soprattutto sulla formazione dei tassi di interesse (la principale arma di politica monetaria) nell’ambito della Banca centrale europea.
Gran parte della modellistica di politica monetaria si basa sul “principio di Taylor” (dal nome di John Taylor della Università di Stanford), secondo cui per ridurre l’inflazione le banche centrali devono portare i tassi di interesse a livelli maggiori di quello dell’inflazione perché in caso contrario si ridurrebbero i costi di prendere in prestito aggiustati per l’inflazione, stimolando ulteriormente l’economia e aggravando il problema. Si tenga presente che in queste settimane tanto negli Usa, quanto nell’Unione europea il tasso di aumento dei prezzi al consumo è stato superiore a quello dei tassi di interesse.
Quindi, il “principio di Taylor” può essere interpretato in vari modi. Ad esempio, ci si riferisce ai prezzi al consumo e/o alla core inflation (dal cui computo si escludono i prezzi, molto volatili, dei prodotti agricoli e dell’energia) del recente passato o a quella stimata per il futuro? E in questo caso al futuro a breve, medio o più lungo termine? E se si guarda al futuro (come molti economisti ora tengono a fare) come si tiene conto di contratti a lungo termine con tassi d’interesse fissi (come si tende a fare per i mutui edilizi)? E come si inseriscono le “aspettative” in questo quadro?
C’è molto, quindi, di cui discutere e su cui apprendere.
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