Per l’Italia non si prospettano mesi facili, a partire dall’andamento dello spread, che ha superato quota 200 salvo poi ripiegare sotto i 190 punti base, passando per il rendimento in crescita dei Btp, alimentato dalle aspettative di un rialzo dei tassi da parte della Bce, causato dall’inflazione crescente.
«Secondo me, la situazione è lievemente sfuggita di mano alle autorità monetarie, che non sono in grado di controllare le spinte inflazionistiche, ma al massimo riescono a frenarle», ci dice Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino.
Perché la situazione è sfuggita di mano alle autorità monetarie?
Perché sono intervenuti dei fattori non economici – ultimo in ordine di tempo la guerra in Ucraina con tutti i suoi addentellati – che hanno interferito con l’azione monetaria. E ora le Banche centrali non possono da sole risolvere il problema.
Cosa servirebbe in più?
Un economista si trova un po’ spiazzato di fronte a questo quadro, perché ha davanti a sé temi che non gli competono direttamente e da solo non ha soluzioni reali da offrire. Posso quindi dire che bisognerebbe quanto meno far cessare la guerra e poi lanciare un piano di grande portata che riguardi non solo l’Ucraina ma tutti i Paesi disastrati nel mondo. Nessuno però mi sembra in grado di poterlo realizzare, mancano leader all’altezza e potenze che abbiano la forza necessaria.
Questo vuol dire anche che un singolo Paese come l’Italia può far poco contro la crisi?
Nel nostro caso specifico, il vero problema è che abbiamo un debito su Pil al 160%, tra i più alti tra quelli dei Paesi avanzati. Questo vuol dire che qualunque intervento rapido e incisivo cercassimo di mettere in campo rischieremmo di far aumentare ulteriormente lo spread. Quello che potrebbe accadere, anche se sono piuttosto dubbioso al riguardo, è un’attenuazione degli effetti della crisi riuscendo a far valere la flessibilità e la nostra capacità produttiva.
Può spiegare meglio cosa intende dire?
L’Italia è presente in molti più settori di Francia e Germania. Se quindi alcuni prodotti o semilavorati non arrivano dalla Cina possiamo cercare di realizzarli noi, inserendoci anche nelle catene di fornitura dei Paesi a noi vicini. Non è molto facile riuscirci, ma a vantaggio del nostro sistema ci sono le piccole e medie dimensioni di tante aziende che facilitano la rapidità necessaria nei processi decisionali. Ricordo, per esempio, che nel 1973, quando ci fu il blocco del Canale di Suez e la grande crisi petrolifera, una tipografia di Cuneo di medie dimensioni riuscì a ottenere in tempi rapidi, proprio da parte di arabi, un contratto per stampare 5 milioni di copie del Corano. Questo tipo di rapidità, di capacità di cambiamento, è tipica delle imprese italiane ed è difficile da trovare in altri Paesi.
Questo vuol dire cercare di affrontare la crisi affidandosi soprattutto alle capacità del settore privato…
Sì, la cosa che può fare un Governo, ed è un po’ quello che è previsto nelle grandi linee del Pnrr, è dare al settore privato le infrastrutture adeguate. Fortunatamente mi sembra che questa volta sul fronte del credito alle imprese non si stiano registrando criticità.
Qualunque altro sostegno pubblico sarebbe controproducente?
Se si danno semplicemente sussidi, i mercati se ne accorgono subito. In questo momento abbiamo gli occhi addosso e avremo sempre meno il sostegno degli acquisti di titoli di stato da parte della Bce.
Il bonus una tantum da 200 euro che è stato varato con il decreto aiuti è da considerare un sussidio?
Sì, diciamo che qualcosa riusciamo a farla passare, ma non possiamo farne una regola di vita: non si può vivere indefinitamente di debito. Occorre utilizzare il debito perché dia luogo a una capacità di recupero per poterlo ripagare.
Diventano quindi cruciali gli investimenti.
Gli investimenti sono indispensabili, ma occorre anche sapere in che direzione vogliamo andare. In che cosa vogliamo specializzarci? Ho notato emergere quasi spontaneamente nell’ultimo decennio il successo del Made in Italy agroalimentare – basti pensare al fatto che il vino italiano batte quello francese -, che trova agganci con altri settori come il turismo. Bisognerebbe favorire qualcosa di analogo in altri comparti, specie nel manifatturiero. Non dico che occorra tornare ai piani socialisti di una volta, ma quanto meno si potrebbero individuare delle priorità nazionali intorno alle quali facilitare aggregazioni. Non mi sento però di indicare una strada particolare, anche perché sul piano politico occorrerebbe una maggioranza che guardasse lontano.
Converrebbe quasi tornare al voto prima della fine della legislatura…
Prima di tornare al voto bisognerebbe approvare una riforma elettorale o quanto meno una legge sui nuovi collegi elettorali visto il taglio dei parlamentari già deliberato. Poi dopo l’estate c’è da predisporre la Legge di bilancio che va approvata entro fine anno. Prima del 2023, quindi, non vedo possibilità di ritorno alle urne.
Corriamo il rischio di ritrovarci in stagflazione?
Ahimè sì, questa è la malattia peggiore di tutte e abbiamo oltretutto a che fare con una “variante”, nel senso che l’inflazione attuale è diversa da quella descritta dai libri: l’attuale aumento dei prezzi viene dall’esterno, dall’energia, dall’interruzione delle catene del valore, non ha a che fare con la dinamica salariale.
Vuol dire che anche le cure più note non è detto che funzionino contro questa variante.
Certo. Come si fa, per esempio, a far funzionare il porto di San Francisco piuttosto che uno cinese? Potrebbero servire investimenti, quindi tempo e denaro. La situazione è molto complicata e le soluzioni non possono essere, quindi, semplici e immediate.
(Lorenzo Torrisi)
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