Se c’è la pace, il problema è l’inflazione. Se c’è la guerra il problema è la guerra. Se c’è l’inflazione il problema è il clima. Se fa bello ti tirano le pietre, se fa brutto te le tirano lo stesso. Se non combatti è perché c’è l’inflazione, o forse l’inflazione c’è perché non combatti. Ma se combatti per la tua libertà, allora dovresti farlo in silenzio e senza rompere le scatole. Perché le aziende italiane hanno le loro esigenze e non si capisce perché a questi bisogni, che sono storici quando non preistorici, dovrebbero aggiungervi anche quelli creati dalle paturnie di un russo matto e di ucraini che, accidenti a loro, invece di pensare ai problemi che ci danno si sono messi in testa che la libertà vale più di tutto nella vita.



D’altronde ragazzi, ragioniamo. Oggi non c’è telegiornale che si rispetti che non abbia almeno un esperto di geopolitica mondiale. Peccato però che rassomigliano notevolmente, tanto che una mente meno attenta ai dettagli della nostra potrebbe perfino confonderli, con gli stessi geni che finora discettavano sui medesimi pulpiti di prima, ma allora travestiti da epidemiologi laureati con breve corso accelerato, e ora, previo superamento di un corso altrettanto breve e intenso, in esperti di geopolitica euro-asiatica. Di certo le laute parcelle a comparsata serale non gli sono venute meno. E pazienza se non san bene cosa dire: almeno lo dicono bene!



Una dichiarazione del presidente esimio di Confindustria ci ha fatto pensare: la crisi ucraina crea problemi alle aziende. Ergo: caro Stato sgancia il conquibus. Mica vorrai che si sostenga noi il peso della lotta per la libertà degli ucraini? Un passin passino oltre e ci saremmo aspettati di sentirlo dire che in fondo gli ucraini potrebbero pure smetterla di combattere: ci stanno creando problemi, accidenti a loro! Sembra di udire gli ingranaggi di alcuni pensieri che avanzano come tank nelle strade piatte di certe pianure europee: che importa della libertà (oggi altrui, domani chissà), se questa mi impedisce di stare bene, di fare business, di fare i dané!



Non vogliamo, sarebbe ingeneroso, accanirci sul Bonomi-pensiero: contiamo solo che, dopo la proposta andata al macero di divenire presidente del Calcio italiano, ci si affretti a fargliene pervenire una simile ma più allettante. 

Il problema per noi, infatti, è più generale che non la consueta intemerata in favore delle imprese povere e che danno il sangue all’Italia. Per noi il punto centrale, in termini antropologici, è che la libertà te la conquisti e che essa ha un prezzo. Per chi deve riprendersela questo prezzo è la vita; per chi invece ce l’ha possono essere i beni, le ricchezze, il benessere, la tranquillità, il tran-tran.

Non so se avete una certa memoria, ma vi consiglio caldamente di tenervela cara, si tratta di una dei prerequisiti, a mio modo di vedere, della libertà. Ricordare, ricordare, ricordare. E poi giudicare.

Vi rammentate in occasione della prima crisi da Covid quale fu il mantra? Ve lo diciamo noi: le imprese soffrono. Ergo: Governo paga. Poi venne la seconda crisi e il ritornello mutò in “le imprese non possono reggere”. Ergo: Governo paga. Venne la terza crisi e il grido unanime dalle Mercedes aziendali (cioè pagate dalla fiscalità generale dei lavoratori dipendenti) sfuggito fu “le imprese sono alla canna del gas”. Ergo: pagare summa cum brevitate.

Orbene: diamo alle Mercedes la giusta mercede. Chi potrà mai contestarlo? Ma vivaddio, possibile che il solo grido che sfugga dalle labbra di quei poveretti che fanno di mestiere l’imprenditore sia sempre, solo e qualmente: “voglio più soldi, desidero più soldi, datemi più soldi”? Sembra, a sentire certi ragionamenti, che uno abbia intrapreso quel mestiere con il nobile ed esclusivo scopo di poter fare la fame. 

Capiamo d’altronde che la mucca statale ha appena ingurgitato una bella fetta di finanziamenti europei e che dunque essa deve dare il latte e che questo, come insegna il villano, va munto ogni mattina con fatica ma soprattutto con la massima puntualità. Quindi scusiamo l’origine del grido, ma non smettiamo di domandarci: possibile che le imprese non abbiano se non un solo grido di battaglia? Sembra di sentire Cetto LaQualunque: qualunque sia il problema la soluzione è sempre la stessa. Peraltro confessiamo che la sua ci sembra un tantino più seria, ma si tratta di gusti e dettagli.

E fin qui passi: si vede che la ben nota fantasia italica si esplica in tutt’altri contesti che nel settore delle associazioni imprenditoriali. 

Ma torniamo a chiederci: la soluzione di ogni problema è la mungitura della mucca statale? Cioè: siamo liberali quando si devono pagare le tasse e statalisti quando si devono prendere i contributi? Già dimenticati i miliardi distribuiti ai più vari settori edilizio-centrati attraverso la manna del 110% (e non parliamo mica dei furbetti, ma proprio di tutti coloro che in men che non si dica hanno provveduto a triplicare i prezzi di attrezzi e materiali che prima giacevano inusati nei magazzini e che poi sono stati fatti divenire terre rare e preziose: tanto pagava Pantalone)? O vogliamo chiacchierare del business delle mascherine: vi ricordate quando venivano vendute a 40, quaranta!, euro l’una? O ciarlare tra noi, in fondo resta in Europa, del prezzo dei tamponi per il Covid? Furono venduti, ancora pochi giorni fa, a 20, 25 euro l’uno e per centinaia, migliaia di casi al giorno: peccato che il prezzo fosse, diciamo così, drammaticamente inferiore e che a somministrarli siano stati chiamati infermieri e personale assunto con contratti da 10 euro l’ora. Fate due conti e poi ne parliamo.

Ebbene: se proprio dobbiamo dire qualcosa, allora anche noi chiediamo, ci accodiamo alle querule lagnanze di chi ha fatto del pianto il suo core-business.

Noi vogliamo, come promesso da tutti quando si era in piena crisi covidica, che aumentino i salari contrattuali di medici e infermieri.

Vogliamo, quindi intimiamo, che si riformi la sanità, magari con più buonsenso che non quello fin qui mostrato in Lombardia dal moratti-pensiero, nel senso di dare più servizi in tempo ai cittadini.

Vogliamo, cioè esigiamo, perché siamo stanchi, che si attrezzino le scuole in modo adeguato e che i docenti siano pagati come si deve e non come degli accattoni.

Vogliamo, anzi comandiamo, che le pensioni siano alzate passando dall’attuale livello della fame al livello della sopravvivenza.

Vogliamo, meglio reclamiamo, che le famiglie numerose siano sostenute come si deve e non con piccoli contentini e poche briciole.

Vogliamo, quindi ordiniamo, che gli impiegati del terzo settore, quello di assistenti sociali, educatori, personale socio-sanitario, sia retribuito come fossero veri lavoratori e non come gente che va a lavorare aggratis perché tanto ha già di che mangiare.

Secondo voi basterà reclamare per ottenere?

Funziona dunque così il sistema: io reclamo, mi indigno, mi indegno, e alla fine qualcuno mi soddisfa?

Perché se me lo confermate anche voi, io c’avrei una lista lunga qualche chilometro di cosa da pretendere, esigere, desiderare con forza. E qualcuna, fidatevi, magari potrebbe anche servire pure a voi. 

E tanto impegno vi basti per essere al mio fianco. 

E dunque così sia.

Amici, compagni, camerati, furbetti di ogni ora e di ogni natura, ascoltate il grido che mi sfugge dalla tasca non bastantemente rigonfia: uniamoci in questa lotta comune e nostro nobile grido di battaglia sia “datemi la mucca dello Stato da mungere e mi solleverò il reddito”.

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