Il sindacato che vive la realtà quotidiana del lavoro lo aveva avvisato, se si liberalizzavano indiscriminatamente i licenziamenti si rischiava un dramma sociale. Si era coscienti che il blocco non poteva durare per sempre e proprio per questo l’avviso comune firmato a fine giugno chiamava le imprese alla responsabilità, prevedendo di verificare tutte le possibili soluzioni in termini di politiche passive, ammortizzatori sociali e strumenti contrattuali, al fine di ritardare o evitare i possibili licenziamenti. Le vicende degli ultimi giorni sui licenziamenti collettivi avviati dalla Gianetti Ruote, dalla GKN e dalla Whirlpool, sono purtroppo la conferma di quanto temuto.
Tuttavia, non si deve sfuggire dalla realtà delle cose. Dietro ai licenziamenti, ribadiamo inaccettabili, vi sono crisi di settore ormai ineludibili su cui occorre ragionare seriamente senza approcci ideologici. L’automotive sta vivendo una difficile e complessa trasformazione. L’auto elettrica ha bisogno di meno componenti e naturalmente meno lavoratrici e lavoratori e le moltissime aziende italiane fornitrici di componentistica si trovano probabilmente in mezzo al guado senza avere ancora un approdo sicuro. Per non dire che in Europa non esiste ancora una fabbrica di batterie e, come affermano, diversi esperti l’impatto ecologico lungo tutto l’arco di vita di un’automobile elettrica è più alto che non quello di un’automobile a bio gas o bio metano, cosa quest’ultima che consentirebbe/obbligherebbe di sfruttare il ciclo dei rifiuti in un sistema di economia circolare oltre che riadattare parte del parco automobilistico con minore aggravio sulle tasche dei cittadini meno abbienti.
Il settore dell’elettrodomestico vive da anni una crisi profonda, il mercato europeo è saturo e di sola sostituzione, le tecnologie non sono elevatissime e spesso si è assistito a pratiche commerciali non sempre corrette delle imprese orientali.
Di fatto però occorre mettersi nell’ottica di affrontare le transizioni, ecologica, digitale, energetica, con tutti i problemi che sorgono quotidianamente e che verranno nei prossimi anni. Occorre rinnovare la strumentazione che abbiamo degli ammortizzatori sociali, avviare le politiche attive del lavoro a cominciare da un rafforzamento delle strutture pubbliche e da un rilancio della collaborazione con le Agenzie del lavoro private, ma occorre anche valorizzare alternanza scuola-lavoro e apprendistato. Molto apprezzata la decisione del Governo, su sollecitazione della Cisl, di finanziare, con 50 milioni di euro, il fondo per il potenziamento delle competenze e la formazione dei beneficiari della Naspi e della Cig, ma serve inoltre che il fondo competenze possa essere utilizzato anche dalle PMI.
Occorre che il mondo imprenditoriale si interroghi su cosa significhi fare impresa competitiva oggi; da anni i guru del management sproloquiano sul valore delle risorse umane e poi ci troviamo sempre a dover combattere i tagli dei costi a partire da quelli del personale. Se al sindacato si chiede sempre di rinnovarsi, lo stesso deve fare l’imprenditoria.
È sicuramente più impegnativo e occorrono maggiori capacità nel lavorare sulla riorganizzazione della propria impresa che non mandare a casa le persone e lavorare su un perimetro di impresa ridotto. Ma così, lo diciamo da tempo, le imprese non crescono e non aumentano i posti di lavoro. La tanto conclamata capacità imprenditoriale italiana di fatto si riduce a imprese di corto respiro che mirano a guadagni immediati e magari a scaricare i costi di “fringe benefit” come le automobili. Se la dimensione delle imprese italiane è quella che è ci sarà un motivo. Per quanto bravi e in molti casi bravissimi gli imprenditori italiani vivono in buona parte come fornitori delle imprese internazionali e quindi risentono di strategie altrui.
Dobbiamo avere ben chiaro che la strategia europea basata sul Green Deal ha come obiettivo una maggiore competitività dell’Europa e il Next Generation Eu ne rappresenta il carburante. La competitività dell’Italia deve passare per un rafforzamento del sistema imprenditoriale e manifatturiero che si realizza con la valorizzazione delle persone che lavorano, con l’aumento delle loro competenze, con l’applicazione dei Ccnl, evitando la concorrenza sleale tra imprese. Non si possono sempre scaricare sulle lavoratrici e sui lavoratori i costi delle incongruenze del sistema imprenditoriale e dell’incapacità del management.
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