Un’alleanza politica è come una pianta, non cresce se non la innaffi tutti i giorni, non dà frutti se non elimini con cura i rametti secchi. Dovrebbe saperlo Letta, e dovrebbero saperlo i capi più avveduti del Pd. D’altra parte era troppo facile considerare la pratica “alleanza con i 5 Stelle” conclusa un anno fa con l’ultima tornata di elezioni amministrative. A cominciare dal bel risultato di Napoli. Dare per scontato l’accordo in questi mesi ha solo alimentato i sospetti e reso accidentato il percorso, dando un vantaggio ai contrari. Nulla di peggio di un matrimonio obbligato.
Poi ci si è messo pure il termovalorizzatore di Roma. Il neosindaco Gualtieri ha evidentemente pensato di avere avuto una grande idea. Visto che non è riuscito a gestire quell’inestricabile groviglio di problemi che è l’Ama, non è stato in grado di dare un senso alla raccolta differenziata, con l’arrivo del caldo, il massiccio ritorno dei turisti e le mandrie di cinghiali fuori controllo, ha cacciato il coniglio dal cappello: facciamo subito (5 anni, sic!) un nuovo forno e bruciamo quello che ci avanza!
Soluzione poco in linea con i 17 obiettivi dettati dalle Nazioni Unite per la salvezza del pianeta, ma che sembra piacere comunque molto agli abitanti del primo municipio, che hanno sempre sognato di bruciare la loro monnezza ad una ventina di chilometri, in qualche borgata di cui non ricordano neanche il nome, e hanno dato vita ad un comitato a sostegno del sindaco. Gualtieri è riuscito – complice il clima che si respira da mesi – a farsi dare i poteri speciali per costruirlo, infilando la norma in un decreto su cui probabilmente il governo chiederà la fiducia.
Come in una famosa scena di Frankenstein Junior, l’inceneritore ha avuto lo stesso potere di una scarica elettrica in grado di resuscitare il Movimento 5 Stelle di Roma, in coma irreversibile dal giorno del voto che aveva seppellito le velleità della Raggi. Così oggi ci sono due iceberg che sbarrano la strada al governo Draghi e sono rappresentati dall’annosa questione delle gestioni delle spiagge e il bruciamonnezza romano.
Non è un caso che chi gongola da settimane siano i piccoli partiti di centro. Essi pensano che il precipitare dei buoni rapporti tra Conte e Letta da un lato e il sempre più difficile rapporto tra Salvini e Meloni stiano finalmente aprendo la strada a una bella legge proporzionale. Così ognuno potrà andare per la propria strada e rinviare al dopo voto il gioco delle alleanze per il futuro governo. C’è chi già farnetica di nuove alleanze tra Renzi e Letta, che sarebbe pronto a scaricare il Movimento.
Bisogna dire che dal fronte delle prossime amministrative le notizie non sono confortanti. Si contano sulle dita di una mano i comuni dove si è riusciti ad avere un candidato comune Pd-M5s (come a Genova). La roccaforte napoletana dell’alleanza è riuscita a presentare candidati solo in 2 su 7 comuni della provincia. Ma cosa ancora più grave, il Movimento ha dimostrato ancora una volta limiti organizzativi seri, non presentato proprie liste praticamente ovunque.
Per completare il quadro (desolante) va ricordato quanto successo nella nuova commissione Esteri del Senato, dove al candidato grillino è stata preferita Stefania Craxi, la ripresa degli attacchi al reddito di cittadinanza e le tensioni crescenti sul tema della giustizia. Letta deve in questi giorni anche tener testa alla minoranza interna (in particolare Marcucci ma anche Del Rio e poi Base riformista di Lotti-Guerini), che ancora una volta usa i gruppi parlamentari per seminare zizzania e colpi bassi.
Una soluzione per il segretario del Pd ci sarebbe: anticipare tutti e mandare gli italiani finalmente a votare, con l’attuale legge elettorale e scegliere lui i punti della campagna elettorale. Del forno per i rifiuti di Gualtieri se ne potrà parlare più avanti, ora bisogna decidere i destini del paese per i prossimi cinque anni.
Sarà difficile ritrovare nei prossimi mesi un momento di maggiore difficoltà del centrodestra. Le pulsioni filo-putiniane della Lega e di Berlusconi sono le plateali conseguenze della dipendenza politica e finanziaria costruita in questi anni, ad esclusione della sola Meloni. Il mondo intero farebbe il tifo per il centrosinistra. Gli italiani non sembrano per niente intenzionati a cambiare le alleanze che hanno garantito per oltre 70 anni benessere e libertà. Draghi dovrebbe sbrigarsi, convocare più spesso il Consiglio dei ministri come ha fatto l’altro giorno, e far saltare il banco.
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