Dopo la pandemia e la guerra in Ucraina ecco un’altra minaccia per l’economia europea: la crisi del Mar Rosso. Dal canale di Suez e dal Mar Rosso transitano infatti il 40% del commercio in entrata e in uscita dall’Oriente, il 12% dei traffici globali e circa 70mila navi ogni anno. Un volume di imbarcazioni e prodotti che permette di abbattere i tempi di consegna delle merci. I ripetuti attacchi degli Houthi, il gruppo di ribelli yemeniti che da settimane bersaglia le navi mercantili sulla tratta, potrà però mettere in difficoltà diversi settori, a partire dalla catena logistica delle merci via mare.
Come si apprende dal Messaggero secondo Enrico Folgori, presidente della Federazione europea della logistica integrata, “più passa il tempo più l’emergenza rischia di produrre effetti negativi, come l’aumento delle tariffe e del costo dei carburanti, con lo scenario concreto o di un aumento dei prezzi al consumo“. A cui si può sommare una possibile “speculazione” di produttori e commercianti, come ventilato dall’addi Filiere Italia, Luigi Scordamaglia, per quanto riguarda i beni alimentari.
CRISI MAR ROSSO: LA SUA EVOLUZIONE CONDIZIONERÀ LA CRESCITA DEI PAESI?
Un Paese come l’Italia che ha bisogno di componenti elettroniche e materie prime dall’estero è sicuramente tra gli stati che potranno maggiormente risentire della crisi del Mar Rosso. Non è escluso anche che ci potrebbero essere conseguenze pesanti anche sul piano dell’attuazione del Pnrr entro il 2026.
D’altronde, come sottolineato dal commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni e da diversi economisti al Forum di Davos, la crisi geopolitica nel Mar Rosso è una delle incognite chiave che offuscano le previsioni di crescita dei paesi europei e creano preoccupazioni sull’inflazione. Per Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, ”l’Italia è tra i Paesi europei più esposti al blocco del transito delle navi nel canale di Suez”. Solo per l’agroalimentare il transito verso i mercati asiatici vale 4 miliardi di euro di prodotti. Così, secondo Simone Gamberini, presidente di Legacoop, si temono effetti negativi sull’export delle aziende e delle cooperative che vendono cibi e bevande. Rischiando di vanificare i buoni risultati del 2023, con un giro d’affari da record per 64 miliardi e, ad esempio, l’80% delle cooperative di Legacoop in utile, nonostante il peso della carenza di manodopera (per il 41%), dell’aumento del costo del denaro, delle materie prime e dell’energia (per il77%). Tra l’altro già alcuni dei principali porti, come Trieste e Genova, da alcune settimane non vedono arrivare container di merci.
LA POSSIBILE STRATEGIA DA METTERE IN ATTO
Se quello descritto è lo scenario è ovvio che non si può restare solo spettatori ma occorre intervenire con una strategia che eviti il peggio. In merito è intervenuto Zeno D’Agostino, presidente dell’European sea ports organisation e dell’Autorità portuale di Trieste, il quale, come riporta il Messaggero, ha dichiarato che considerando che choc del genere sono “sempre più frequenti”, bisognerebbe far tesoro “dell’esperienza del Covid”.
La parola magica sarebbe “diversificare”, come ha fatto il porto di Trieste negli anni scorsi, stringendo accordi con Egitto e Marocco, che saranno presto operativi, per favorire anche i traffici nel Mediterraneo. Nel frattempo il mondo produttivo chiede al governo di varare nuovi sostegni ad hoc, in linea con Valentina Ghio del Pd, che chiama l’esecutivo a sostenere almeno l’emendamento dem al decreto Milleproroghe per prorogare gli attuali aiuti al lavoro portuale.